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A Milano al via Docucity, mille sguardi sulla città
2 maggio 2013
Giunge alla quarta edizione la rassegna di cinema documentario Docucity (a Milano dal 7 all’11 maggio). Esempio virtuoso di un’iniziativa maturata in ambito accademico, pur in tempi di spending review, e capace di attivare sinergie internazionali. Quest’anno un’attenzione particolare sarà data al Giappone.

Chi pensasse di sapere già tutto, sul documentario - magari perché la ritiene una forma d’arte più oggettiva, meno mediata dallo sguardo e dalla mano dell’artista -, farebbe meglio a dare più di un’occhiata al Festival internazionale di cinema documentario «Docucity - Documentare la città». La rassegna - ideata e organizzata dall’Università degli Studi di Milano - giunge quest’anno alla sua settima edizione e nasce dall’esigenza, tutta accademica, di promuovere una maggiore conoscenza del cinema documentario nelle sue varie forme, con l’irrinunciabile obiettivo di coniugare l’analisi del testo filmico alla riflessione su tematiche urbane specifiche di estrema attualità.
Iniziativa inaugurata nel 2006 nell’ambito di un corso di laurea dell’Università degli Studi di Milano, Docucity ha subito identificato nelle tematiche della mediazione linguistica e culturale il suo ganglio vitale, orientandosi verso contesti, per elezione, internazionali.
Il fatto che, originariamente, i destinatari privilegiati dei lavori fossero studenti e docenti del corso di laurea in Mediazione linguistica e culturale, che propone curricula specificamente legati alle tematiche dell’integrazione, ha contribuito a definire l’originalità del festival cominciando a creare un circuito universitario, una volta tanto, virtuoso. Oggi, i contributi arrivano da molte componenti dell’Università degli Studi di Milano, come pure da realtà esterne, il cui numero è aumentato negli anni.

IL BATTESIMO DI ANTONIONI
È una perla
, Docucity, incastonata in una programmazione culturale milanese già ricca, che resiste ai tagli di bilancio immancabili in questi tempi difficili, costi (è il caso di dire) quel che costi. La cultura, facendo di necessità virtù, prospera proprio in mezzo alle difficoltà, anzi, di queste si alimenta tanto più se può diventare anche un po’ «malgrado», un po’ «nonostante». Il padre del documentario italiano, forse non tutti lo sanno, è Michelangelo Antonioni, che proprio nelle ristrettezze immani della guerra e del primo dopoguerra tenne il genere a battesimo con Gente del Po, mentre cadevano come birilli i suoi primi progetti, uno dopo l’altro, vuoi perché costavano denari (appunto), vuoi perché la nuova censura assomigliava un po’ troppo alla vecchia.
Certo, dai tempi di Antonioni è cambiato l’oggetto, del documentario: allora erano le realtà in ombra, o nascoste dalla troppa luce: come la vita nei manicomi (uno dei progetti abortiti) o quella vita già invischiata nella oleosa patina dei nascenti fotoromanzi (L’amorosa menzogna, a cui Fellini avrebbe risposto a modo suo nel celeberrimo Lo sceicco bianco) o, si diceva, una dura tipologia di esistenza sull’acqua, a bordo di chiatte che erano, seppure mobili, le residenze dei «senza fissa dimora» del misconosciuto popolo del Po.
Oggi il campo di interesse si è diversificato, diffuso nei mille rivoli delle parole-chiave della moderna cinematografia: marginalità, multiculturalismo, integrazione (o assenza di) e, ovviamente, circostanze specifiche di catastrofi naturali con il loro impatto sul vivere comune. Tutto nasce, in gran parte, dalla città, quello strano moderno contenitore contemporaneo che può ospitare di tutto, persino del verde, a volte. Scrisse un eminente geografo che le città di oggi non sembrano mai finite: terminata un’opera se ne comincia un’altra, all’insegna di un sempre più improbabile restyling che porta con sé anche le storie di tante fuggevoli comparse del film, luogo, della nostra esistenza.

SGUARDI D’ORIENTE
Nel programma di Docucity 2013, particolare spazio sarà dato al Giappone, con un’intera giornata (il 7 maggio) dedicata a proiezioni di film documentari e animazioni giapponesi inediti in Italia e in sinergia con il prestigioso Yamagata International Documentary Film Festival (Yidff), vale a dire uno degli eventi più importanti, a livello internazionale, per ciò che attiene la documentaristica.
L’evento è organizzato con il contributo fondamentale del Polo universitario di Via Noto (Dipartimento di Beni culturali e ambientali) e ha avuto come esito immediato la definizione di un accordo di scambio con la Tohoku University of Art and Design. Yamagata è una delle province della regione settentrionale del Tohoku, nota purtroppo all’estero quasi solo per gli eventi tragici del 2011. In realtà è un’area ricca di tradizioni artistiche e artigianali, geograficamente interessante perché molto verde e montuosa, con piccoli paesi e sorgenti termali.
A questa e alle altre città del Tohoku è dedicata una porzione consistente della rassegna, con una serie di documentari girati immediatamente dopo la tragedia da registi originari delle zone colpite, a un tempo, da terremoto e tsunami.
Docucity acquisisce così un altro piccolo e pregevole segmento dell’esperienza documentaristica internazionale, utilizzando l’imperativo della formazione universitaria come rampa di lancio per incrementare un network di scambio, circolazione e riflessione scientifica sul cinema documentario. E lo farà non solo accogliendo, in maggio, un piccolo pezzo di Giappone, ma anche portando a Yamagata, in ottobre, un piccolo pezzo dell’esperienza documentaria italiana nella terra del Sol Levante. L’ingresso è, sempre più miracolosamente di questi tempi, libero.    
Paolo Caponi
Docente di Cultura inglese
dell’Università degli Studi
di Milano
© FCSF – Popoli
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