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Alle radici della monogamia, tra Bibbia e diritto romano
2 gennaio 2013
Tre ordini di idee si raccolgono attorno al prioritario riferimento monogamico nella cultura occidentale di matrice giudaico-cristiana. Il legame tra queste tre correnti può aiutarci a comprendere meglio la radice di questa proclamazione valoriale e a entrare in dialogo con prospettive culturali differenti.
Troviamo un primo riferimento nello sviluppo storico-teologico descritto dalle fonti scritturistiche dell’Antico e Nuovo Testamento. L’Antico Testamento mostra una fluidità della situazione istituzionale del matrimonio in consonanza con le culture circostanti il popolo di Israele. Due fattori hanno condotto verso un progressivo affermarsi della monogamia assoluta: da un parte l’esigenza pratica di provvedere concretamente al mantenimento di più famiglie e di evitare inutili contese e frazionamenti del patrimonio familiare; dall’altra la rilettura teologica, sviluppatasi in ambito profetico, che istituisce un legame tra l’amore dell’uomo e della donna e l’alleanza di Dio con il popolo. Si ritrova il compimento di questa linea nell’insegnamento cristiano che evidenzia come all’origine del legame che unisce uomo e donna stia l’esclusività dell’amore di Cristo per la sua Chiesa.
Un secondo riferimento spiega l’affermarsi della pratica monogamica: la traduzione del vincolo matrimoniale all’interno dell’ordinamento giuridico occidentale, di matrice romana. Il modello contrattuale per dire il patto coniugale nel contesto romano assume la fiducia nella libera responsabilità dei soggetti in vista del bene comune tipica di quella cultura giuridica. Concretamente l’esigenza di custodia del vincolo patrimoniale e sociale si traduce nell’esclusività del vincolo affidato alla libertà dei coniugi.

UNA SCELTA DI LIBERTÀ
Dalla considerazione delle due principali radici della cultura occidentale viene una terza riflessione più antropologica ed etica. Entrambe le correnti appoggiano l’affermazione progressiva della monogamia alla considerazione della consistenza reale della libertà.
Nel primo caso si evidenzia la profonda radice teologica: il decidersi dell’uomo e della donna ha sempre a che fare con la salvezza, con il compimento che rimanda alla sua figura assoluta in Dio. Nel secondo caso si sottolinea invece la dimensione intrinsecamente sociale della libertà: la decisione verso l’altro coniuge è decisione per gli altri che mi circondano, scelta che si traduce nella costruzione di vincoli sociali precisi.
A queste due considerazioni, l’antropologia contemporanea ne aggiunge una terza: la consistenza corporea della libertà. Non si dà scelta che non sia incarnata in un corpo. Per questo la decisione di consegna di sé all’altro deve fare i conti con l’unicità della carne. La mia libertà di donarmi all’amato/a si confronta con la consistenza dell’uno e dell’intero che io sono nel mio corpo: non posso donare una parte di me. Perché il legame che affermo sia vero, il dono deve essere totale e quindi non lasciare più nulla per altri.
Queste tre piste di riflessione indicano una direzione di cammino utile sia all’approfondimento teorico, sia alla pratica nella nostra società plurale: cartina di tornasole per misurare la tenuta di forme istituzionali anche diverse e per condurre un dialogo serio è la considerazione della libertà nelle sue dimensioni oggettive, concrete e profonde. Il dialogo deve concentrarsi attorno alla figura e al modello di libertà incarnato in pratiche familiari anche differenti. Ciò consentirebbe di poter meglio comprendere le prassi a noi più comuni e includere le diverse visioni in una seria pratica di (auto)critica.    
Stefano Cucchetti
Docente di Teologia morale
presso il Seminario di Milano
e l’Istituto superiore
di Scienze religiose di Milano
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