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Buona Giornata! Un'inchiesta sulle ricorrenze mondiali Onu
17 gennaio 2014

Il calendario Onu prevede, nel corso dell’anno, la celebrazione di 119 Giornate mondiali, vale a dire una ogni tre giorni. Ad esse si aggiungono settimane, annate, decadi. I temi prescelti a volte sono strategici, altre volte decisamente originali. C’è il rischio di voler celebrare tutto per finire con il non celebrare nulla? Pubblichiamo l'articolo principale dell'inchiesta uscita sul numero di gennaio di Popoli.


La prima risale al 1950 e l’abbiamo celebrata per la 64a volta lo scorso 10 dicembre: è la Giornata mondiale dei diritti umani. Venne istituita dalla neonata Assemblea generale delle Nazioni Unite che, con un’apposita risoluzione, invitava tutti gli Stati e le organizzazioni internazionali a ricordare così la Dichiarazione universale dei diritti umani, varata esattamente due anni prima, e a moltiplicare gli sforzi per la sua attuazione.

Fare memoria e invitare all’azione, informare e sensibilizzare, incalzare i governi e sostenere gli sforzi della società civile; non ultimo, raccogliere fondi per i progetti sviluppo, le emergenze, la prevenzione e la ricerca. Sono questi, in sintesi, gli obiettivi che, nel corso degli anni, hanno ispirato l’istituzione di giornate mondiali su vari temi. Con una proliferazione che, però, rischia di svuotare di senso le giornate stesse.


DI TUTTO DI PIÙ
Consultando il sito delle Nazioni Unite, nella sezione dedicate alle observancies, si contano 119 Giornate internazionali (o Giornate mondiali), vale a dire circa una ogni 3 giorni. Alcune sono molto note: ad esempio la prima segnata sul calendario, la Giornata per la commemorazione delle vittime dell’Olocausto (27 gennaio), oppure la Giornata mondiale dell’alimentazione (16 ottobre) o quella per la lotta all’Aids (1° dicembre).

Nel complesso, però, la maggior parte di queste ricorrenze rimane sconosciuta ai più: quante persone sanno che il 23 marzo si celebra la Giornata mondiale della meteorologia e, il terzo giovedì di novembre, quella della filosofia? Quanti appassionati del genere «festeggiano» la Giornata internazionale del jazz, il 30 aprile, e quanti genitori sanno che il 1° giugno è la Giornata Onu a loro dedicata?

Non solo. Scorrendo il lungo elenco si nota una certa sovrapposizione di temi o quantomeno la genericità di alcune ricorrenze. Difficile, se non per gli addetti ai lavori, capire ad esempio quale differenza ci sia tra la Giornata contro le discriminazioni (1° marzo) e quella per la tolleranza (16 novembre), o tra le due giornate dedicate alla madre terra (22 aprile) e all’habitat (7 ottobre). Così come è arduo mettere a fuoco il tema specifico di giornate come quella della felicità (20 marzo) o quella dell’amicizia (30 luglio). Per non parlare di «feste» decisamente singolari: dal mazzo scegliamo la Giornata mondiale degli uccelli migratori (11-12 marzo), quella della posta (9 ottobre) e quella dell’aviazione civile (7 dicembre).

Le perplessità aumentano se a tutto questo si aggiunge che queste 119 giornate internazionali sono solo una parte delle celebrazioni promosse dall’Onu e dalle agenzie collegate (Fao, Unesco, Oms, ecc.). Nel 1959 fu infatti istituito il primo anno internazionale, in quell’occasione focalizzato sui rifugiati, mentre nel 1961 prese avvio la prima decade Onu, che aveva come tema lo sviluppo (attualmente si stanno celebrando in contemporanea dieci decenni); nel 1978, infine, fu la volta della prima settimana internazionale, dedicata al disarmo, istituita tra il 24 e il 30 ottobre e celebrata ancora oggi (in totale sono 8 le settimane Onu durante l’anno).

È forse sulle annate che l’originalità raggiunge il top, perlomeno in questo 2014 appena iniziato, in cui si sovrappongono tre «anni internazionali»: a quello dedicato al tema, certamente rilevante nel Sud del mondo, dell’agricoltura familiare, si affiancano l’anno internazionale della cristallografia e l’anno delle piccole isole-Stato. Non esattamente tematiche da prima pagina.


I DUBBI DELLE ONG
Insomma, il calendario è decisamente fitto e il rischio di voler celebrare tutto finendo con il non celebrare nulla è molto forte. La pensano così, in effetti, due autorevoli rappresentanti italiani della cooperazione internazionale, ovvero uno dei mondi che dovrebbe essere più sensibile verso queste iniziative.

«Sono tutte giornate importanti e i temi sono sacrosanti - chiarisce Paolo Dieci, presidente di Link2007, network che riunisce 9 tra le maggiori Ong italiane, e direttore del Cisp -. Ho in mente ad esempio la Giornata mondiale dell’alimentazione e quella del 25 novembre, contro la violenza sulle donne. Ma rischiano di essere giornate vuote se, oltre a ribadire gli impegni da parte dei soggetti coinvolti, non si fa un bilancio tra questi impegni e i risultati ottenuti. Faccio un esempio: ogni anno il 1° dicembre si celebra la Giornata contro l’Aids, ma l’Italia ha sospeso i finanziamenti al Fondo mondiale per combattere malaria, Aids e tubercolosi (un fondo che tra l’altro funziona e sta dando risultati). Non è ipocrisia? Ancora, uscendo dall’Italia, è ottimo celebrare la Giornata contro la violenza sulla donna: in quell’occasione l’Onu ha anche approvato una risoluzione contro i matrimoni precoci. Ma andiamo a vedere quali leggi vengono introdotte dagli Stati, quali pressioni si fanno sui governi. Ormai molte dichiarazioni Onu sui diritti sono firmate da quasi tutti gli Stati, ma qual è la vera ricezione nelle legislazioni statali?».

Attilio Ascani, direttore della Focsiv - federazione di cui fanno parte 65 organizzazioni di volontariato internazionale di ispirazione cristiana - è in piena sintonia con Dieci: «Sono tutte iniziative lodevoli, ma il rischio è che se ne perda il senso. La molteplicità di celebrazioni fa sì che l’impatto sia frammentario, tranne poche eccezioni. Anche noi che siamo del settore spesso perdiamo di vista alcuni di questi appuntamenti. Non dimentichiamo, tra l’altro, che si moltiplicano anche i promotori: non ci sono più solo Onu o le agenzie collegate, ma anche ad esempio l’Unione europea».

Dunque, tutto da buttare? Niente affatto. «Va riconosciuto che alcune di queste giornate - continua Ascani - sono state la molla per generare una serie di iniziative che poi sono cresciute nel tempo, magari sganciandosi dall’occasione iniziale. Ho in mente la Giornata mondiale dell’acqua, il 23 marzo, da cui ha preso forma il Forum Acqua che poi ha condotto tante iniziative anche in Italia». «Per noi Ong - gli fa eco Paolo Dieci - queste giornate sono occasioni per coordinarci, per confrontarci su ciò che facciamo su un dato tema e farlo conoscere al pubblico. Magari senza questa occasione di visibilità, tanti progetti resterebbero più nascosti».

Rimane, però, la sensazione di un’occasione sprecata, di un’energia che rischia di disperdersi in troppi rivoli. Energia fatta anche di banali, ma molto concrete, risorse economiche. Nessuno dei nostri due interlocutori sa dire a quanto ammontino i fondi che l’Onu stanzia per queste giornate, ma la sensazione è che siano in gioco grosse cifre. «Giornate come quelle per i diritti umani, contro la fame o l’Aids certamente ricevono finanziamenti importanti - dice Ascani -. Va detto, per chiarezza, che nulla arriva alle Ong, le quali, se organizzano eventi connessi a queste o altre celebrazioni, lo fanno con fondi propri». Dieci conferma, aggiungendo un appello: «Insisto sul fatto che servirebbe maggiore trasparenza: sia sui risultati ottenuti, come dicevo, sia su questo aspetto delle risorse. Altrimenti resta la sensazione che sia una enorme fiera del marketing e del fundraising».


CATALIZZATORI DI ATTENZIONE
Vorremmo sottoporre tutti questi dubbi ai diretti interessati, ma non è facile orientarsi nel colosso Nazioni Unite. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, però, a Ginevra, la seconda delle principali sedi Onu, rintracciamo la responsabile dell’Ufficio stampa e relazioni esterne. È l’italiana Alessandra Vellucci, la quale ci chiarisce anzitutto come nascono le Giornate mondiali (o eventi simili): «Mi sembra importante sottolineare che quasi tutte le celebrazioni sono decise dall’Assemblea generale dell’Onu, dunque in qualche modo da tutto il mondo. Non è una decisione del Consiglio di sicurezza. La decisione viene presa su proposta di uno o più governi, di Ong, di agenzie Onu, di attori della società civile. Oppure direttamente su iniziativa dell’Onu, ad esempio dal parte del Segretario generale. Aggiungo che alcune Giornate vengono istituite perché previste da risoluzioni più generali, e questo fa già capire che la Giornata è un pezzo di un percorso più ampio».

Vellucci smentisce che il mondo della cooperazione e del volontariato sia sempre escluso. «È chiaro che l’ufficio o agenzia dell’Onu che ha proposto la Giornata ha poi la responsabilità principale di portare avanti le iniziative, ma ci sono diversi casi in cui si lavora con le Ong. Ho in mente la Giornata per l’eliminazione della povertà estrema (17 ottobre), in cui qui a Ginevra e a New York abbiamo sempre una grande collaborazione con Atd Quart monde (Ong presente in circa 30 Paesi). Sono loro a scegliere il tema specifico, che cambia ogni anno, e riescono a coinvolgere missioni diplomatiche di singoli Paesi che appoggiano anche economicamente. Costruiscono una rete di appoggi che porta frutti eccezionali. In occasione della Giornata del 2011, ad esempio, Atd è riuscita dopo anni di battaglie a fare approvare dal Consiglio Onu per i diritti umani una risoluzione che considera la povertà estrema come una violazione dei diritti fondamentali dell’individuo».

È possibile avere un ordine di grandezza delle risorse, umane ed economiche, investite in queste Giornate? «L’eterogeneità delle iniziative rende impossibile un calcolo complessivo - spiega Vellucci -. Ad esempio alla Giornata per la memoria dell’Olocausto lavora per tutto l’anno un’apposita équipe, mentre ci sono casi di lavoro sinergico: le agenzie promotrici delle varie Giornate producono materiali informativi, pedagogici, ecc. Poi è il Dipartimento per l’informazione a diffondere e adattare ai vari contesti, attraverso i suoi 63 centri sparsi per il mondo. Questi centri diventano “altoparlanti” per queste Giornate, e fanno un lavoro eccezionale. Pensiamo al centro di New Delhi, che è l’unico per tutta l’India ed è formato da 4 persone soltanto, che devono coprire un’area di un miliardo di persone. Un’altra cosa da considerare, parlando di budget, è che è difficile separare i costi della Giornata da altre voci di spesa: pensiamo alla Giornata Fao sulla fame: quella è anche l’occasione per lanciare il Rapporto, a cui si lavora tutto l’anno e che evidentemente ha dei costi. Senza gli eventi pubblici organizzati per la Giornata, il Rapporto avrebbe meno visibilità. Senza il Rapporto, la Giornata avrebbe meno impatto. Come si fa a separare le due cose?».

Ragionamento che non fa una piega, ma si potrà almeno sapere qual è l’origine dei finanziamenti? «L’Onu, quando lancia una celebrazione, spiega sempre che ogni agenzia o ufficio deve trovare le risorse al proprio interno. Oppure chiedendo a singoli governi di finanziare. Sponsor privati sono rari, perché lo Statuto dell’Onu rende molto difficile ricevere donazioni. Non dimentichiamo, poi, che si riescono a fare grandi cose anche grazie alla generosità di testimonial famosissimi che non vogliono essere pagati».

La funzionaria dell’Onu non concorda nemmeno sul rischio di un surplus di offerta: «Non parlerei di un eccesso, ma di un ventaglio. Ogni centro informativo fa una selezione a inizio anno delle Giornate su cui intende concentrare gli sforzi. Può capitare che alcune giornate passino più inosservate di altre, ma in genere chi ha voluto una Giornata la porta avanti».
Rispetto alla singolarità dei temi, Alessandra Vellucci propone un esempio interessante: «Si è molto ironizzato sull’istituzione, nel 2013, della Giornata mondiale del Wc, il 19 novembre. Ebbene, ci sono 2 miliardi e mezzo di persone nel mondo che non hanno accesso a servizi igienici adeguati. Nel mondo c’è più gente con un cellulare che con un Wc. Questo tema da anni è al centro degli sforzi di Oms, Unicef e altre agenzie. Perché non dovrebbe essere “degno” di una Giornata mondiale? Sono sicura che molte persone che non avevano cognizione del problema, ora si attiveranno o saranno più sensibili a sostenere gli sforzi di altri. Dunque se mi chiede di valutare in termini oggettivi e immediati l’impatto di queste giornate, io non so rispondere. Ma sono certa che un impatto esiste, sui governi e sull’opinione pubblica. Le Giornate alla fine sono enormi catalizzatori di attenzione: portano attenzione mediatica, azioni, progetti, denunce e soldi. Tutti ingredienti necessari se vogliamo davvero risolvere i problemi dell’umanità».


PIÙ SPAZIO AI CITTADINI
Da Ginevra al Senegal, da chi è inserito nel mondo Onu a chi in quel mondo ha vissuto per anni prima di fare altre scelte. Enrico Muratore ha lavorato per l’Onu nel peacekeeping e nella comunicazione: in Angola dal 1998 al 2003, poi in altri Paesi. Oggi vive a Dakar ma continua a seguire l’attività delle Nazioni Unite nel campo dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile, argomenti sui quali tiene un blog sul Fatto Quotidiano.

«Distinguerei le campagne sul campo, magari ispirate da qualche Giornata mondiale ma portate avanti con concretezza, da azioni a livello globale, promosse dall’alto e senza presa reale sulle popolazioni che nell’insieme restano disinformate. In questo secondo caso sento una noia reale per la ripetitività di messaggi stantii, slogan vuoti e retorici, volti più a fini di marketing istituzionale che a educare o informare i cittadini, per esempio su quanto costano non solo le campagne, ma quanto costa l’Onu nel suo insieme e con quali risultati sono utilizzate le risorse pubbliche a sua disposizione. Basterebbe dirlo alla televisione nei titoli di coda degli spot! Un reale accesso all’informazione è un dovere per l’Onu, e anche la migliore maniera di rafforzare la propria credibilità ed esemplarità».

Muratore non vuole essere frainteso: «L’Onu è una fondamentale struttura di negoziazione a livello internazionale, vi lavorano migliaia di persone appassionate e molte hanno dato la vita per la pace e la democazia. La mia impressione però è che, in queste Giornate mondiali così come in altre iniziative, manchi un attore cruciale: i cittadini. Se l’Onu vuole davvero promuovere la democrazia e lo sviluppo deve rafforzare le esperienze di cittadinanza attiva che in tanti Paesi, nel Nord e nel Sud del mondo, si stanno facendo strada, creando meccanismi effettivi di partecipazione permanente della società civile internazionale nelle istanze decisionali».

Stefano Femminis

© FCSF – Popoli