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"Cercavano me": Paolo Dall'Oglio e l'irruzione nel monastero di Deir Mar Musa
27 febbraio 2012

«Dicevano di cercare denaro, armi e il superiore della comunità. Denaro ce n’era poco, armi nessuna e il sottoscritto non lo hanno trovato perché ero a Damasco». A parlare è Paolo Dall’Oglio, fondatore e superiore della comunità monastica che da anni nel monastero siriano di Deir Mar Musa è attiva nel dialogo tra cristiani e musulmani. Il gesuita è intervenuto telefonicamente ieri sera a Milano in occasione di un incontro promosso (anche) da Popoli sulla drammatica situazione siriana. Voci dell’incontro, oltre a Dall’Oglio, il suo confratello Jihad Youssef, religioso siriano in Italia per gli studi teologici, don Luciano Pozzi, parroco milanese e amico della comunità di Deir Mar Musa, e Francesco Pistocchini, redattore di Popoli
Gli aggressori erano una trentina, a viso coperto, tranne uno, sono arrivati mercoledì con diversi automezzi, entrando alle spalle dell’edificio e sorprendendo la comunità di monaci e monache che erano in preghiera o al lavoro, come sempre anche durante questi mesi di violenze nel Paese.
Il monastero si trova a 17 km dal centro abitato più vicino e non ha nessuna sorveglianza armata. «Di denaro certamente ce n’è poco, visto che facciamo voto di povertà - ha proseguito Dall’Oglio -. Oltretutto turisti e pellegrini in questo momento non ci sono e il poco che abbiamo serve a noi e ad alcune famiglie che lavorano con noi per sopravvivere. Armi ovviamente non c’erano».
«Uno degli aggressori ha fatto lunghe riprese con un cellulare, hanno voluto perlustrare le stanze e la chiesa. È stato uno shock, ma certamente è andata bene, perché non è stata fatta violenza a nessuno. Ora la comunità sta facendo l’esercizio sofferto di ritrovare la via del dialogo, che è il significato della nostra presenza». Il monastero non ha smesso di essere un luogo aperto a quelli che soffrono e per qualche giorno ha ospitato alcune famiglie fuggite dai bombardamenti a Homs. Resta forte l’inquietudine per un fatto poco chiaro, dato che non si conosce l’identità degli aggressori.
Nel corso della serata, padre Jihad Youssef, oltre a offrire ai presenti la sua riflessione sul significato e sulla missione del monastero nella Siria di oggi, ha anche rivelato di avere sentito parlare di un falso video relativo all’irruzione nel monastero che circolerebbe in rete: «Ma non siamo ancora riusciti a trovarlo, probabilmente occorre cercare con attenzione sui motori di ricerca usando l’arabo».

 

© FCSF – Popoli