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Contro la pena di morte: l'impegno delle religioni
07/05/2012

Pena di morte: si allunga la lista dei Paesi abolizionisti, compresi diversi Stati Usa. Anche se solo 73 membri dell’Onu hanno finora firmato il secondo protocollo della Convenzione sui diritti civili e politici che abolisce le esecuzioni capitali, sono circa 140 su 193 i Paesi che non eseguono condanne capitali per legge o per prassi. La Mongolia è stata l’ultima ad aderire. Negli Stati Uniti, in California sono state raccolte 800mila firme e il 6 novembre si voterà un referendum abrogativo. I gesuiti californiani hanno dato il loro appoggio al Safe California Act, la legge che se sarà approvata tramuterà automaticamente le condanne a morte in carcere a vita.
E dopo il voto del parlamento locale, il 25 aprile il governatore del Connecticut, Dan Malloy, già allievo dei gesuiti al Boston College, ha firmato la legge che abolisce la pena capitale nello Stato, sulla scia di Illinois e New Jersey. In Louisiana, i gesuiti della Loyola University di New Orleans hanno pubblicato di recente uno studio che mette in luce una serie di problematiche legate alla pena di morte nel loro Stato, dove nei bracci della morte si trova un gran numero di condannati che hanno malattie mentali e dove si riscontra uno dei tassi più alti di condanne per errore di tutti gli Stati Uniti.
Negli Usa l’impegno dei cattolici in questo campo è meno evidenziato dai media rispetto ad altri temi politici, ma altrettanto intenso. L’opinione pubblica sta cambiando: secondo un sondaggio Pew, i contrari al patibolo negli Usa sono passati dal 18% della metà degli anni Novanta a circa un terzo di oggi.
Oltre agli Usa, non sono molte le democrazie nel mondo che mantengono nella propria giurisdizione e applicano la pena capitale. Si trovano tutte in Asia: Giappone, Taiwan, India, Indonesia e Thailandia. A queste va aggiunta la Corea del Sud, dove però non avvengono esecuzioni dal 1997.
In Giappone, dopo un’interruzione che durava dal luglio 2010, lo scorso 29 marzo sono state eseguite tre impiccagioni in diverse carceri per altrettanti detenuti pluriomicidi. Tutti i vescovi cattolici giapponesi hanno nuovamente chiesto al governo di abolire la pena di morte. L’arcivescovo di Nagasaki, mons. Takami, ha dichiarato che l’esecuzione di un omicida è essa stessa un omicidio. Ha ricordato che il sistema giudiziario «non è perfetto: si possono verificare anche errori giudiziari», come in effetti è accaduto in passato. Il Centro sociale dei gesuiti a Tokyo da anni è impegnato nella sensibilizzazione contro la pena capitale. Fa parte di un network internazionale di istituzioni che collaborano a questo scopo, come il Comitato ad hoc creato più di quarant’anni fa in Corea dalla Chiesa cattolica e che ha una lunga esperienza nel mondo carcerario e nella riconciliazione tra vittime e criminali. Questo comitato collabora con i protestanti e i buddhisti nell’organizzare manifestazioni di protesta e attività di lobby. Ha sostenuto la pubblicazione di un romanzo dal quale è stato poi tratto nel 2006 un film di grande successo nel Paese, Maundy Thursday, ambientato in un braccio della morte.
I cattolici giapponesi vedono l’esperienza sudcoreana come un esempio. Un segno incoraggiante che viene dalla Corea è la moratoria di fatto in corso da quindici anni, iniziata con la presidenza di Kim Dae-jung, egli stesso condannato a morte nel 1980 durante la dittatura. Cattolico, Premio Nobel per la Pace nel 2000, Kim Dae-jung, ebbe la pena commutata in 20 anni di carcere, prima di essere lasciato espatriare.
In Thailandia le poche Ong locali impegnate hanno creato un’alleanza per rafforzare la campagna abolizionista, anch’esse puntando sull’azione di lobby nei confronti dei politici e sulla sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Dell’alleanza fanno parte anche la fondazione dei gesuiti  attivi nelle carceri.
Intanto in India, dove non si eseguono sentenze dal 2004, ma 400 persone restano nei bracci della morte, in marzo si sono mobilitati i sikh. La prevista esecuzione di un condannato in Punjab prevista per il 31 marzo - sarebbe stata la prima nello Stato dal 1989 - ha spinto organizzazioni sikh in tutto il mondo a presentare una petizione alla presidente della Repubblica ottenendo una sospensione dell’esecuzione. I sikh hanno inoltre chiesto una moratoria per tutti i condannati. Il tema è interreligioso: le Chiese cristiane in India chiedono al governo di aderire alla moratoria dell’Onu e di mettere fine alle condanne, anche se, come osserva il segretario della Commissione giustizia e pace dei vescovi indiani, Charles Irudayam, la pena di morte esiste dall’indipendenza e non è facile abolirla.
A Taiwan, dove solo nel 2011 sono state eseguite 15 condanne, il 20 aprile il presidente Ma Ying-jeou ha annunciato una riduzione del ricorso alla pena capitale. Dal 2006 a Taiwan sono vietate le condanne a morte di minorenni. Le organizzazioni internazionali per i diritti umani fanno pressione anche su questo Paese (che non è membro dell’Onu) perché arrivi a un’abolizione totale.
L’Asia resta il continente con il maggior numero di esecuzioni: nel 2011 se ne contano a migliaia in Cina, almeno 360 in Iran, 82 in Arabia Saudita, 68 in Iraq e 41 in Yemen, tra quelle verificate.

Francesco Pistocchini

 

© FCSF – Popoli