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Corno d’Africa, cronaca di una carestia annunciata
13 otobre 2011
Le carestie nel Corno d’Africa non possono essere attribuite solo al clima, ma anche a manovre speculative della finanza mondiale e alla vendita di appezzamenti di terreno a multinazionali o a Stati stranieri. Il commento di un operatore di una Ong milanese che lavora nel settore della cooperazione agricola.

La crisi umanitaria nel Corno d’Africa (Etiopia, Gibuti, Kenya, Somalia, Sudan e Uganda) viene rappresentata innanzitutto come un’e­mergenza alimentare che riguarda, secondo le varie stime, undici milioni di persone. Il 25 luglio, il direttore della Fao (l’agenzia Onu che si occupa di sviluppo agricolo) Jacques Diouf ha lanciato un appello per «un aiuto massiccio e urgente» per rispondere alla peggiore siccità degli ultimi 60 anni. La macchina della solidarietà si è subito messa in moto con l’invio di aiuti umanitari e azioni coordinate sul campo dalle grandi agenzie internazionali. Agire sugli aiuti immediati è indispensabile, ma l’emergenza spesso comporta azioni a effetto breve che non considerano cause e concause che hanno determinato una crisi.
Le cause della crisi hanno radici più profonde che vanno oltre l’evento climatico, del resto non infrequente nella regione, e affondano nei conflitti, nelle politiche agricole, negli effetti che l’economia globale produce sulle economie locali e sui cambiamenti climatici. Basta dare uno sguardo alle mappe del Famine Early Warning Sistems Network per capire come le carestie nel Corno d’Africa non possano essere attribuite a una sola causa. In una regione dove, secondo i dati Fao, oltre il 40% della popolazione vive in aree estreme, caratterizzate da mancanza o scarsità di acqua e vegetazione e dalla instabilità legata ai fattori climatici, e con un’economia di sussistenza, la siccità è solo l’innesto di una serie di cause esplosive. Cause che da sempre minacciano una delle regioni più povere del mondo e che sono complesse da affrontare e da raccontare.
Ad esempio, si pensi all’innalzamento del tutto ingiustificato del prezzo delle derrate agricole (stimato dalle agenzie internazionali in oltre il 130% in pochi mesi), che rispecchia le manovre speculative della finanza mondiale, oppure alla vendita o all’affitto di appezzamenti di terreno a multinazionali o Stati stranieri (il cosiddetto land-grabbing). Tali fenomeni, oltre a bloccare l’accesso alle risorse del territorio e rendere bracciante chi era coltivatore diretto, rendono più difficoltosa la gestione dei pascoli nomadi. Ossia il cuore dell’economia tradizionale.
In un’area dove il 60% del territorio è classificato come arido, la risorsa alimentare principale sono le mandrie di bestiame. «Tecnologie» mobili, capaci di trasportare le masserizie dei nomadi che si spostano alla ricerca delle migliori risorse vegetali da trasformare in proteine (essenzialmente latte) per potersi nutrire e dissetare. Gli animali sono anche alla base del sistema economico (scambi, prestiti, risparmi) e base della struttura sociale (lavoro, salute, prestigio, identità). Da qui un complesso sistema di rapporti psicologici, sociali e famigliari capace di reagire adattandosi a condizioni di crisi. Ad esempio, la composizione delle mandrie con diverse specie e taglie di bestiame (bovini, camelidi e ovini) o lo scambio dei capi di diverse famiglie in ogni mandria sono strategie di assicurazione contro epidemie e razzie di bestiame.
La pastorizia è il miglior sistema in termini di resa e di sostenibilità in aree estreme. Un sistema in grado di resistere alle avversità croniche dell’area, che è stato però messo in crisi non tanto, o non solo, dalle cause contingenti della siccità, ma soprattutto dalle cause esogene al sistema.
Per tutti questi motivi la gestione della crisi, oltre al doveroso impegno umanitario, dovrà essere accompagnata da misure tese a contenere le perdita di bestiame, elemento chiave per mettere le popolazioni in grado di continuare a resistere a una situazione endemica di fragilità. Su questa base si dovrà poi ragionare per interventi di sviluppo integrato che tengano conto delle specificità dell’area e del sistema sociale ed economico del Corno d’Africa.
Giuseppe De Santis
Acra
Milano
© FCSF – Popoli