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Editoriale - Punto e a capo
10/06/2014

Due importanti anniversari, legati alla prima e alla seconda guerra mondiale, cadono in un momento di grande tensione internazionale: la storia sembra non avere insegnato nulla. L'editoriale del numero di giugno-luglio di Popoli.

 

Il 28 giugno di 100 anni fa, a Sarajevo, l’assassinio di Francesco Ferdinando d’Asburgo accese la miccia che, un mese più tardi, portò all’esplosione della prima guerra mondiale, con il suo fardello di oltre 15 milioni di vittime, tra soldati e civili. Esattamente trent’anni dopo, il 6 giugno 1944, lo sbarco in Normandia segnò invece l’inizio della fine del secondo conflitto mondiale. Terminava la guerra con più morti nella storia dell’umanità (almeno 55 milioni, tra cui le vittime dell’Olocausto), ma ne iniziava un’altra, cosiddetta «fredda», in realtà anch’essa insanguinata da conflitti regionali e violazioni dei diritti umani.

Come tutti gli anniversari, anche questi due possono diluirsi in sterili celebrazioni, con annesse sfilate di potenti, discorsi formali e cene di gala. Ma possono anche conservare il loro significato autentico: aiutarci a fare memoria del passato, perpetuare - come esempio o come monito - il ricordo di eventi e persone che hanno cambiato in bene o in male il corso della storia, riflettere sugli effetti, a volte epocali, di scelte personali e collettive. Ancora, una ricorrenza serve a misurare la distanza, non solo cronologica, che ci separa dai fatti ricordati, a tracciare un bilancio del percorso compiuto.

Guardare all’attualità da questo punto di vista getta nello sconforto. La crisi esplosa in Ucraina, con le forti tensioni tra Occidente e Russia, svela il rinascere dei blocchi contrapposti, con lo «zar» Vladimir Putin al posto del vecchio nemico sovietico. E anche in altri contesti rintracciamo logiche che credevamo sconfitte: anzitutto in Siria, trasformatasi nel ring su cui grandi e medie potenze esibiscono i propri muscoli; ma pensiamo anche ai numerosi focolai di crisi in Africa e Asia. Né la comparsa sulla scena mondiale di un nuovo attore protagonista, la Cina, aiuta a ridurre le tensioni, anzi. 

La storia davvero non sembra avere insegnato nulla se, dopo uno o più secoli, siamo punto e a capo, fermi alle scorciatoie del nazionalismo e del populismo, alle rivendicazioni etniche e identitarie. Senza dimenticare che le religioni (l’islam in particolare) spesso funzionano, loro malgrado, come benzina sul fuoco dei conflitti anziché come fattore di pacificazione.

Mai come in questi casi ci si sente impotenti di fronte a sfide che superano le nostre forze e probabilmente anche le nostre responsabilità. Eppure, proprio quella storia così facilmente dimenticata ci mostra quanto le cose avrebbero potuto (e potrebbero) andare diversamente se si fosse dato ascolto ai profeti che ogni epoca regala all’umanità: pensiamo a Giovanni XXIII, «fresco» di canonizzazione, con la sua Pacem in Terris ancora così attuale. Pensiamo, oggi, a papa Francesco, alla sua rivoluzione nel modo di intendere il potere e l’autorità, ai suoi ripetuti appelli per la pace (l’ultimo nel recente viaggio in Terra Santa).

Pensiamo anche al nostro collaboratore padre Paolo Dall’Oglio, uomo del dialogo e della riconciliazione: ci sembra doveroso farlo, pur nel rispetto del silenzio chiesto da familiari e autorità, mentre si avvicina un altro anniversario, quello del suo rapimento in Siria il 29 luglio 2013. Noi speriamo di averlo presto di nuovo con noi, per costruire insieme un mondo senza guerra. 

Stefano Femminis
Direttore di Popoli

© FCSF – Popoli