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Francia, sei mesi senza burqa
9 novembre 2011
La legge francese che vieta di nascondere il proprio viso in tutti i luoghi pubblici (a eccezione dei luoghi di culto) è entrata in vigore l’11 aprile 2011. In vari interventi, il ministero dell’Interno ha messo in primo piano la dimensione «pedagogica» della legge, insistendo sul fatto che le forze dell’ordine non sono autorizzate a togliere il velo a nessuno; che la procedura di verifica dell’identità non può in nessun caso tradursi nell’arresto delle persone coinvolte; che insieme alla multa (fino a 150 euro), potrà essere imposta la frequenza di un corso di educazione civica. La legge è stata inoltre presentata dal governo come espressione di un consenso, sottolineando che sono stati consultati i rappresentanti del culto musulmano.

Un mese dopo l’entrata in vigore i media davano notizia di 27-28 episodi messi a verbale riguardanti donne. Sei mesi più tardi, il numero delle verbalizzazioni non sembra aver superato qualche decina. Numeri che non sorprendono se si pensa che le donne velate integralmente in Francia sono stimate in un numero compreso tra 1.900 e 3.000.

Se si aggiunge il fatto che una precedente norma obbligava già le persone a identificarsi nei luoghi pubblici, viene allora da chiedersi se, dietro a questo inasprimento, non ci siano strategie politiche che vanno ben al di là del problema specifico. Di fatto, le questioni relative all’islam alimentano in modo ricorrente l’agenda politica nazionale, come dimostra la recente dichiarazione del ministro dell’Interno Claude Guéant sulle «preghiere di strada» musulmane che turberebbero l’ordine pubblico. Anche in questo caso, si tratta di un problema limitato, che riguarda soltanto qualche moschea in Francia, problema tra l’altro segnalato dai musulmani stessi e, nella maggior parte dei casi, già risolto in collaborazione con le autorità pubbliche.
Questa affermazione del ministro, ampiamente sfruttata dall’estrema destra francese, serve ad alimentare l’idea che l’islam rappresenti una fonte di pericolo per l’ordine pubblico in Francia, giustificando così l’inasprimento delle politiche per la sicurezza.

Mentre prende il via una campagna presidenziale in cui l’aspetto della sicurezza avrà un posto importante, c’è da scommettere che l’islam sarà ancora una volta abbondantemente alla ribalta. Ed è tangibile l’impatto di simili dichiarazioni sugli atteggiamenti islamofobi: basti pensare alle aggressioni verbali e fisiche di cui sono state oggetto negli ultimi mesi varie donne musulmane che portavano il velo (il cui uso, a volto scoperto, non è in alcun modo limitato dalla legge in questione).

Da parte loro, i musulmani sembrano piuttosto disorientati di fronte a una pressione politica crescente. Ci sono però due associazioni militanti che sembrano emergere nella mobilitazione contro gli atti islamofobi: il Comité contre l’Islamophobie en France (Comitato contro l’islamofobia in Francia), che recentemente ha ottenuto lo status di membro osservatore all’Onu, e la Coordination contre le Racisme et l’Islamophobie (Coordinamento contro il razzismo e l’islamofobia). Il Ccif redige un rapporto annuale che registra gli episodi qualificati come islamofobi, la maggior parte dei quali non è oggetto di alcuna azione giudiziaria, in genere per mancanza di risorse.

Quanto alle grandi federazioni musulmane e all’organo che rappresenta il culto musulmano in Francia, la loro posizione oscilla tra un timido attendismo e strategie di difesa delle proprie istanze davanti alle autorità pubbliche.
Omero Marongiu-Perria
Sociologo, Direttore del centro europeo
per l'educazione alla leadership
e all'imprenditorialità di Lille (Francia)

© FCSF – Popoli