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Hammarskjöld, un credente al servizio dell’Onu
13 settembre 2011
Il 17 settembre 1961, sulla pista dell’aeroporto di Léopoldville, in piena crisi congolese, il segretario generale delle Nazioni Unite, Dag Hammarskjöld, saluta l’amico e collega Sture Linner prima di decollare verso un’impossibile tentativo di mediazione con i ribelli del Katanga. Lì, nel Congo infuocato dalla guerra, Hammarskjöld parla ancora una volta di quei mistici medievali che, in un’intervista radiofonica otto anni prima, aveva associato alle radici familiari della sua fede: «Per loro l’amore era un sovrappiù di forza di cui si sentivano interamente colmati quando cominciavano a vivere nell’oblio di sé». Poi si imbarca per quello che sarà il suo ultimo viaggio: nella notte l’aereo si schianta al suolo. Disgrazia, attentato, sabotaggio? Non si conoscerà mai con certezza la verità.
«L’incredibile è accaduto e il mondo non sarà mai più lo stesso»: così, pochi giorni dopo, il pittore svedese Bo Beskow scriverà al comune amico Alexis Leger. Parole eccessive dettate da un dolore sconvolgente? No, vi è qui la lucida consapevolezza di chi conosceva bene non solo il funzionario pubblico, ma anche lo spessore umano dello scomparso. Del resto, così affermava la nota non firmata del New York Times all’indomani dell’oscuro incidente aereo, «se non fosse stato per la paziente, instancabile guida di Dag Hammarskjöld, l’Onu forse oggi non esisterebbe. Con calma, sagacia e perseveranza ha faticato per conservarla nonostante pesanti contrasti e per accrescerne l’efficacia in un mondo che vacilla sull’orlo della catastrofe. Hammarskjöld ha posto il proprio incarico e l’Onu come strumenti di un codice etico. Se l’umanità sopravvive alla minaccia di un olocausto nuclea­re per evitare il quale quest’uomo si è battuto così valorosamente, la storia annovererà certamente la sua carriera come una delle grandi forze per un mondo migliore (…) La scomparsa di Dag Hammarskjöld è una perdita incalcolabile. Ha saputo fare di se stesso e della propria funzione una delle grandi speranze per la pace nel mondo. Ha rappresentato ciò che vi era di degno d’onore e di razionale in un mondo pieno di odio e di sospetto».
Sul medesimo quotidiano, Abraham Michael Rosenthal osservava: «Adesso gli elogi funebri arrivano da tutto il mondo, ma già otto anni fa Dag Hammarskjöld stesso aveva detto molto di quanto deve essere detto su che tipo di uomo egli fosse e che tipo di servizio egli volesse svolgere alle Nazioni Unite» e ricordava una conversazione avuta all’inizio dell’incarico come segretario generale: «Ho una convinzione - mi disse - che ha a che fare con il “bene”, per dirla in termini di Chiesa, con una fiducia in un legame di moralità e di correttezza. La maggior parte degli uomini è motivata da una semplice, fondamentale moralità. Il momento chiave è quando uno si rende conto che il proprio desiderio di correttezza esiste non solo all’interno del proprio gruppo ma anche in altri. È qualcosa di difficile da trasmettere, ma la si deve affrontare. Sono convinto che un giorno ci si renderà conto che l’Onu è un riflesso di quel desiderio e che, se viene abbattuto, ebbene, deve essere ricostruito. E quando verrà quel giorno, allora diranno: “Quei tipi là dell’Onu hanno proprio ragione”». Forse questo giorno non è ancora venuto, anzi, si ha l’impressione che si allontani anziché avvicinarsi. Ma chi si batte per quello che sente in profondità come «giusto» per l’umanità intera, non arretra di fronte agli insuccessi, né adegua la propria etica al tornaconto.

«MERITARE» IL POTERE
Chi era davvero quest’uomo, abitato da una concezione quasi visionaria dell’Onu, una visione di cui sentiamo ancora il lancinante bisogno? «Da generazioni di soldati e di uomini di governo della mia ascendenza paterna ho ereditato la persuasione che nessuna vita dia maggiore soddisfazione di una vita di servizio disinteressato al proprio Paese e all’umanità (...) Dagli studiosi e dai pastori luterani della mia ascendenza materna ho ereditato la convinzione che, nel vero senso del Vangelo, tutti gli uomini sono uguali in quanto figli di Dio e devono essere accostati e trattati da noi come i nostri signori in Dio». Così Dag Hammarskjöld aveva risposto poco dopo l’elezione, nel 1953, a quanti desideravano conoscere qualcosa di più del nuovo segretario generale dell’Onu.
Profondamente cristiano, Hammarskjöld rifuggiva tuttavia ogni manifestazione esteriore della propria fede, così da non ostacolare il suo lavoro nei confronti di interlocutori dalle convinzioni più diverse. «Nel mio nuovo incarico ufficiale - aveva detto sbarcando all’aeroporto di New York due giorni dopo l’inattesa nomina a segretario generale - l’uomo privato deve scomparire e il funzionario civile internazionale deve prendere il suo posto». Così venne presto a crear­si l’immagine di una personalità affascinante, di una cristallina rettitudine morale, dotata di grandi capacità comunicative, eppure riservata, solitaria, aliena dall’ostentazione di qualsiasi appartenenza religiosa: l’uomo che aveva tra gli ascendenti materni pastori luterani e che da giovane era rimasto affascinato dal vescovo Nathan Söderblom, uno dei pionieri dell’ecumenismo e intimo di casa Hammarskjöld, lasciava che emergessero solo i tratti del discendente di un’antica famiglia di servitori dello Stato pronto a lasciare in ombra le convinzioni di fede per facilitare la riuscita del bene comune.
Questa autorevolezza personale, conquistata con l’onestà e la rettitudine, emerse con forza durante il suo duplice mandato come segretario generale dell’Onu, come mostra la vicenda di alcuni aviatori americani dipendenti dalle forze delle Nazioni Unite in Corea, imprigionati e condannati dalla Cina per spionaggio nel 1956. Il 10 dicembre di quell’anno Hammarskjöld, per la prima volta nella storia, riesce a ottenere un mandato diretto dall’Assemblea generale per gestire una crisi internazionale, accettando così di esporsi in prima persona a un possibile fallimento. Il 30 dicembre vola a Pechino e avvia lunghe trattative apparentemente infruttuose. Nel luglio successivo un diplomatico cinese a Stoccolma seppe da un amico di Hammarskjöld che questi stava per tornare in Svezia a festeggiare il 50° compleanno e gli chiese consigli per un regalo. La saggia risposta fu: «Libri, quadri cinesi ma, meglio ancora, aviatori americani». Due giorni dopo il suo compleanno, Hammarskjöld fu informato che i prigionieri erano liberi.
Persona apparentemente schiva, amante della letteratura e amico di poeti di ogni nazionalità, infaticabile lavoratore e appassionato alpinista, costruttore della pace tra gli uomini e ricercatore della quiete in Dio, ci ha lasciato, secondo le sue stesse parole, «una specie di diario, un libro bianco sul mio commercio con me stesso (...) e con Dio» (Tracce di cammino, Qiqajon, Bose [Bi] 2005). Da esso emergono i tratti di un viaggiatore verso il profondo dell’animo umano, ma emerge anche la fatica dell’esistenza e la quotidiana lotta per l’accettazione della volontà di Dio nella propria vita.
Forse la solitudine fu per Hammarskjöld il banco di prova più arduo, ma anche lo strumento privilegiato per divenire uomo di comunione: «La tua solitudine sia di sprone a trovare qualcosa per cui vivere, abbastanza grande per cui morire». Ed egli trovò questo «senso» nel servizio reso alla collettività, con rettitudine e integrità: «Merita il potere solo chi ogni giorno lo rende giusto», aveva scritto nel 1951. Gli anni del servizio di Hammarskjöld all’Onu - dal 7 aprile 1953 alla morte nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1961 - furono tutti all’insegna di questo sforzo per rendere giusto il potere e, quindi, «meritarlo».
E, in questo sforzo, l’oblio di sé e la forza dell’amore imparati alla scuola della grande tradizione cristiana medievale costituiscono ancora oggi l’eredità più preziosa lasciataci da quest’uomo di solitudine e di comunione.
Guido Dotti

BIOGRAFIA
> 1905: Dag Hammarskjöld nasce a Jönköping (Svezia). Il padre, Hjalmar,
è un uomo politico che ricoprirà la carica
di Primo ministro dal 1914 al 1917.
> 1930-1934: segretario della commissione
governativa sulla disoccupazione.
> 1941-1948: presidente della Banca di Svezia.
> 1948-1953: segretario del ministero
degli Esteri e poi vice-ministro degli Esteri.
> 1953-1961: eletto segretario generale delle
Nazioni Unite nel 1953, viene riconfermato
per un secondo mandato nel 1957.
> 1961: muore in un incidente aereo nel corso di una missione per risolvere la crisi congolese. In molti pensano si tratti di un attentato, ma non sono mai state raccolte prove in questo senso.

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