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Il comandante Onu: "La comunità internazionale
voltò la testa"
3 aprile 2014
Fu lasciato solo di fronte al genocidio, ma le sue truppe (pochi uomini, alcuni di questi male equipaggiati e male addestrati) fecero l’impossibile per mettere in salvo i civili. Il generale canadese Roméo Dallaire (nella foto a destra) è stato certamente un protagonista positivo di quella tragica primavera. Al comando della Missione di assistenza delle Nazioni unite in Ruanda (Minuar) ha fatto tutto ciò che era possibile per limitare la portata del genocidio, creando zone franche nelle quali ospitare le persone perseguitate dalle milizie hutu. Grazie alla sua azione 32mila ruandesi (hutu moderati e tutsi) sono stati salvati.

Quell’esperienza
ha segnato l’ufficiale canadese (che al rientro della missione, travolto dall’orrore vissuto, tentò anche il suicidio). Oggi Dallaire, che è senatore nel Parlamento di Ottawa, è molto critico nei confronti della comunità internazionale che non intervenne per fermare la strage. «[In quegli anni] la comunità internazionale - ha detto nella conferenza “Genocide: A Preventable Crime” che si è tenuta il 14 gennaio - ha fatto del suo meglio per ignorare il Ruanda». E ha aggiunto: «Quel conflitto non destava interesse, non aveva valore strategico». Dallaire non fatica ad ammettere che anche l’Onu commise errori, ma la responsabilità, a suo parere, non fu delle Nazioni unite: «Ho fatto errori sul campo, il comando Onu ha fatto errori. Ma il peso più grande è degli Stati che facevano parte delle Nazioni unite. Gli Stati se ne sono lavati le mani, non volevano essere coinvolti». Per ricordare l’esperienza del genocidio in Ruanda, nel 2003 Dallaire ha scritto il libro Shake Hands with the Devil: The Failure of Humanity in Rwanda («Ho stretto la mano al diavolo. Il fallimento dell’umanità in Ruanda»).

Secondo l’ufficiale canadese
in questi anni il contesto non è cambiato. «Le Nazioni unite - ha detto nella conferenza - hanno gli strumenti per contrastare l’impunità sul campo e non solo nelle corti di giustizia, ma le nazioni sono reticenti. Lo sono perché prevalgono gli interessi particolari e i diritti umani non sono ancora una priorità».

© FCSF – Popoli
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