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Il filo interiore: a Milano un ciclo di incontri con tre testimoni del dialogo
10 gennaio 2012

"Il filo interiore" è il titolo di un ciclo di tre serate a Milano, con proiezione di conversazioni video inedite. Protagonisti tre testimoni d’eccezione del dialogo interculturale e interreligioso: Raimon Panikkar, Moni Ovadia e Gabriele Mandel Khan. Si comincia il 25 gennaio all'Auditorium San Fedele. L’ideatore dell’iniziativa - realizzata in collaborazione con Popoli - ne spiega la genesi e il senso

Ho conosciuto Raimon Panikkar e la sua opera grazie al lavoro che ho svolto per la Televisione svizzera per la quale, per diversi anni, ho presentato al Centro culturale San Fedele di Milano il ciclo di documentari «Il filo d’oro».
Il nuovo ciclo di tre serate che verrà ospitato tra gennaio e febbraio al San Fedele prevede la proiezione di quattro conversazioni video (di cui tre inedite) realizzate con tre esponenti del dialogo interculturale e interreligioso: Raimon Panikkar, Moni Ovadia e Gabriele Mandel Khan (da sinistra a destra nelle foto). Sono tre voci spirituali, tre esperienze non convenzionali, tre sguardi aperti e fecondi sul mondo.
Il ciclo ha un titolo non casuale: «Il filo interiore». È un omaggio al precedente ciclo «Il filo d’oro», ma è anche un nuovo inizio. Il filo interiore è, simbolicamente, il filo che intreccia la domanda di senso e la dimensione etica della vita. Per entrambe queste dimensioni i temi dell’«altro» e del dialogo tra culture diverse sono essenziali. Questo è il motivo per cui c’è stato l’incontro con gli amici del Centro San Fedele e di Popoli: per un interesse comune a favorire il dialogo interculturale e interreligioso.

LA VITA È RELAZIONE
La prima volta che incontro Raimon Panikkar mi colpisce subito con una frase emblematica: «Solitudine sì, isolamento no». In due parole, aveva sintetizzato uno dei temi cardine della sua ricerca spirituale: la relazione con l’«altro». Intendeva dire: solitudine interiore sì, perché è la condizione per una relazione non superficiale con se stessi e per porsi quelle domande sull’esistenza che necessitano di silenzio e quiete. Isolamento no, perché la vita è relazione e senza di essa non esiste nemmeno ciò che chiamiamo «io», che ha una necessità intrinseca di un «tu».
A me, un laico che si sente in costante ricerca, questo linguaggio spirituale così chiaro e diretto sembrò condivisibile anche senza dover abbracciare una confessione. Panikkar, infatti, aveva una qualità forse non molto frequente nelle personalità religiose: saper parlare di temi esistenziali entrando in contatto anche con il cosiddetto non credente. Il dialogo, per lui, non è relativismo, ma relazione, consiste nella consapevolezza che la propria verità non è totalizzante e che l’altro può vederne uno spicchio diverso.
Così, accingendomi a dar vita a un progetto che mi era caro sul tema della memoria, ebbi l’ardire di chiedergli un’intervista video sul tema Memoria e contemplazione. Mi interessava conoscere come un maestro come lui interpretasse il rapporto con il tempo e con i ricordi: un tema oggi attualissimo e molto complesso. Il suo pensiero a riguardo, che si può ascoltare nell’intervista, contiene riflessioni e indicazioni molto significative.
Questo fu l’inizio di una serie di incontri e di conversazioni filmate con lui, per me molto densa e nutriente. Nacque un pizzico di quella che chiamiamo confidenza.
La seconda di queste conversazioni video con Panikkar si intitola Lo scontro di civiltà, la pace e il perdono, e tocca proprio il tema interculturale e interreligioso. Qui si entra proprio nel vivo della relazione tra le diverse tradizioni spirituali d’Occidente e d’Oriente: un campo di interessi che è stato al centro dell’esperienza decennale di Panikkar. La sua famosa frase: «Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindu e sono tornato buddhista, senza cessare di essere cristiano», sintetizza una vita spesa per la conoscenza e la fecondazione reciproca tra queste culture religiose. Nella relazione con l’«altro» non si può esorcizzare il conflitto: personale, culturale, religioso. Pensando al conflitto, per Panikkar è essenziale pensare a come se ne esce, a quali scorie può lasciare nel tempo e nello spazio. E, da questo punto di vista, per lui è decisivo il percorso del perdono. Un perdono sentito interiormente, non di superficie, e che è «de-creazione» perché, rompendo la legge del karma, fa cadere nel nulla l’offesa ricevuta.
L’incontro con Panikkar, con la sua umanità e con la sua apertura al diverso mi ha dato, nel tempo, lo stimolo interiore per cercare esponenti delle altre religioni monoteiste che, come lui, potessero dare un contributo al dialogo interreligioso ma anche a quello, per me non meno importante, tra credenti e laici.

UN INCESSANTE NUOVO INIZIO
Così, ho avuto la possibilità di incontrare uno dei massimi maestri del sufismo, Gabriele Mandel Khan, e un uomo di teatro e di cultura ebraica, Moni Ovadia. Con loro è stato possibile realizzare due altre lunghe conversazioni video, dal titolo La saggezza dei Sufi e Spiritualità ebraica ed etica contemporanea, nelle quali i temi spirituali si sono intrecciati a quelli esistenziali e della nostra contemporaneità.
Con Mandel Khan si è parlato, in particolare, del rispetto tra le diverse religioni e del totale dissenso da qualsiasi pratica violenta o di martirio, che, per lui, costituiscono un tradimento degli insegnamenti del Corano. Per il maestro sufi, «ciò che conta nel giudizio sulla vita non sono le diverse religioni, ma le azioni concrete improntate all’etica». Un bel modo di pensare all’altro.
Con Moni Ovadia l’«altro» ha preso sembianze ulteriori: non solo l’altra cultura, ma l’altro, lo sconosciuto che è dentro di noi. Il bene e il male, la simbologia dell’ombra, la dimensione dell’inconscio e del sogno. E il tema della giustizia sociale, un altro significativo versante dell’alterità e del dialogo tra culture: la difesa del più debole, sia umano sia naturale.
Raimon Panikkar e Gabriele Mandel Khan sono scomparsi a poche settimane di distanza, nell’estate 2010. Erano diversi tra loro, ma avevano in comune alcune caratteristiche. In primo luogo, almeno per me, la simpatia, l’allegria che emanavano. Un’umanità e un’apertura palpabili, un sorriso e uno sguardo che non potevano lasciarti indifferente. E il senso di stupore, di sorpresa per ogni nuovo incontro, per ogni momento della vita. Dove, appunto, l’incontro con l’altro è sempre fresco, sorprendente. Un incessante nuovo inizio. Come diceva Panikkar: la nuova innocenza. O come inneggiava Mandel Khan, a ogni nuovo incontro: evviva!
In forme diverse, Mandel Khan risiedendo per decenni a Milano, Panikkar per le sue soste sempre più frequenti e intense degli ultimi anni, hanno dato tanto a questa città, spiritualmente ed eticamente. Hanno seminato in profondità, hanno aperto menti e soprattutto cuori, hanno confortato. Questo ciclo di serate è dedicato a loro, alla loro testimonianza spirituale ancora così viva. 

Marco Manzoni (Studio Oikos)

© FCSF – Popoli