Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Primo piano
Cerca in Primo Piano
 
In Paraguay finisce l'era Lugo, un golpe mascherato?
29 giugno 2012
Mentre sembra certa la «sospensione» del Paraguay dall’Unasur - l’unione commerciale e doganale che riunisce quasi tutti i Paesi sudamericani -, ad Asunción le acque sembrano temporaneamente tranquille dopo i disordini successivi alla destituzione del presidente Lugo, atto che alcuni considerano un golpe mascherato, altri un procedimento rispettoso della Carta costituzionale. Il dibattito anima anche la Chiesa cattolica, con posizioni eterogenee.
Il 22 giugno il presidente Fernando Lugo (nella foto) si è dimesso dopo essere stato sottoposto a impeachment dal Senato. L’accusa rivolta a Lugo - ex-vescovo eletto nel 2008 con una valanga di voti, ma privo di una maggioranza in Parlamento, essendo estraneo ai due partiti storici del Paese - è di «inettitudine e mancanza di decoro», in particolare per le sue responsabilità nell’aumento della violenza nel Paese, sfociato il 15 giugno nel massacro di Curuguaty, uno scontro tra polizia e contadini senza terra che occupavano una fattoria. Gli scontri hanno provocato 17 morti, tra i quali 8 agenti.
Subito dopo l’impeachment, ha giurato come nuovo presidente il vice Federico Franco, come prevede la Costituzione. Franco, ex alleato di Lugo, negli ultimi tempi aveva progressivamente preso le distanze dal presidente. Ora Franco dovrebbe traghettare il Paese verso le elezioni di aprile 2013. Diversi Paesi latinoamericani, tra cui Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela, si sono rifiutati di riconoscere il neopresidente, e la questione è sul tavolo dell’Unasur in svolgimento a Mendoza (Argentina). La soluzione più accredita è una «sospensione» del Paraguay, ma senza quelle sanzioni economiche che metterebbero in ginocchio il Paese e che lo stesso Lugo ha chiesto di evitare.
Se all’estero le reazioni sono state veementi, almeno a livello verbale e diplomatico, la reazione interna, anche dei movimenti della società civile che hanno sostenuto più convintamente Lugo, sembra più pacata. C’è chi interpreta questo fatto come una dimostrazione della perdita di consenso e del fallimento politico di Lugo, chi semplicemente come una scelta attendista per valutare le strategie migliori.
Quel che è certo è che la vicenda viene vissuta con atteggiamenti diversi dentro la Chiesa cattolica, con cui Lugo ha sempre avuto una relazione a dir poco burrascosa. Ordinato vescovo nel 1994, fattosi conoscere e apprezzare da molti come «vescovo dei poveri», Lugo si è dimesso nel 2005 per potere partecipare alle elezioni e nel 2007 è stato sospeso a divinis dal Vaticano. Dopo la sua vittoria nelle presidenziali del 2008, c’è stato un certo riavvicinamento con Roma, che ha accettato di concedere a Lugo la dimissione dallo stato clericale, fino a quel momento negata. Altre nubi però sono apparse all’orizzonte quando si è saputo di un figlio naturale avuto nel 2007 e che Lugo ha riconosciuto solo dopo un attacco dell’opposizione.
Dopo la destituzione, il nunzio vaticano, Aliseo Ariotti, è stato tra i primi a incontrare il neopresidente Franco. La scorsa domenica lo stesso nunzio, nella cattedrale di Asunción, alla presenza di Franco, ha letto un messaggio in cui il Santo Padre invoca sul Paraguay la benedizione apostolica, la protezione della Vergine di Caacupé, nella speranza che «tutti i figli della nazione paraguayana possano vivere in pace». 
Dal canto loro, la Conferenza dei religiosi del Paraguay (Conferpar) il 22 giugno hanno emesso un comunicato in cui, sebbene si possa leggere anche una critica a Lugo, prevale l’allarme per la piega presa dagli eventi: «Alla radice di quanto accaduto – si legge – vediamo la complicità dei tre poteri dello Stato, l’abbandono di una riforma agraria integrale (…) e l’insabbiamento sistematico di questi problemi da parte della giustizia e del parlamento. (…) Richiama l’attenzione la rapida reazione dei partiti politici che hanno dato il via a un giudizio politico del presidente dentro al Parlamento: pur trattandosi di un procedimento costituzionale, si è proceduto in un modo che crea fondati sospetti di manipolazione, mettendo a rischio il processo democratico instaurato dall’elezione popolare. (…) Vediamo partiti politici più preoccupati di difendere le proprie quote di potere e incarichi, che di cercare una vera risposta ai nostri problemi».
Sulla stessa lunghezza d’onda la presa di posizione ufficiale dei gesuiti del Paraguay (www.jesuitas.org.py): nel riaffermare che «il ricorso alla violenza e alla soppressione di vite umane non è accettabile come via per trovare soluzione ai problemi di convivenza sociale, economica e politica», e chiedendo una «indagine seria sulle responsabilità» di ciò che è avvenuto a Curuguaty, i gesuiti denunciano «il rinvio sistematico di una vera riforma agraria, l’accaparramento dei latifondi in mano di pochi, con la complicità della magistratura e del Parlamento» e si chiedono «se non ci sia qualcuno dietro questi fatti che cerca di approfittare di scontri tra compatrioti. Non sarebbe la prima volta che oscuri interessi utilizzano i conflitti sociali per generare una instabilità che beneficia i propri interessi».
Ancora più esplicita la dichiarazione dei gruppi laicali ignaziani (legati ai gesuiti), che il 26 giugno hanno emesso un comunicato in cui dichiarano che «il giudizio contro Lugo può essere legale, ma non è stato legittimo né giusto. Le accuse sono generiche, basate su giudizi parziali, e hanno portato a una sentenza predeterminata. (…) Interpretiamo il massacro di Curuguaty come una strategia programmata che si è sviluppata in tragedia. Non si tratta solo del cambiamento di un presidente, si tratta della riaffermazione di un sistema di accaparramento egoista, che causa la miseria di milioni di persone».
Stefano Femminis

© FCSF – Popoli