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In fuga da Aleppo, guardando a Ginevra
22 gennaio 2014

Nel giorno in cui iniziano a Ginevra i colloqui diplomatici per cercare una soluzione al conflitto siriano, pubblichiamo una testimonianza di un padre di famiglia sfollato da Aleppo a Homs e raccolta da Wael Salibi, dell’ufficio internazionale del Jrs (Servizio dei gesuiti per i rifugiati). Oltre a 2,3 milioni di rifugiati all’estero, gli sconvolgimenti interni hanno spinto 6,5 milioni di siriani (su 22 milioni) a trasferirsi in zone interne più sicure. Il conflitto, che sta entrando nel suo quarto anno, ha un impatto irreversibile sulla salute, l’istruzione e i mezzi di sostentamento di quasi un terzo del Paese (soprattutto minori).

Il Jrs è impegnato a raggiungere e portare aiuto a rifugiati e sfollati in alcuni centri urbani. Molti non sono registrati e vivono isolati nella paura. Attraverso le comunità locali dei gesuiti e le Chiese cristiane, il Jrs ha aperto centri ad Aleppo, Damasco, Amman, Ankara, preoccupandosi soprattutto di prestare servizio nell’ambito dell’istruzione dato che il sistema scolastico è collassato.
In uno scenario di radicalizzazione delle identità, anche religiose, il personale del Jrs è composto da persone di diverse fedi, siriani e volontari stranieri.

* * *

Un rifugiato siriano costretto a fuggire dalla sua città insieme alla famiglia non ha perso solo la casa, ma anche lo scopo che aveva nella vita, la capacità di provvedere alla propria famiglia. Fortunatamente il 48enne Nader Ibrahim Bitar è stato in grado di riconquistare un senso di appartenenza e di realizzazione dopo essere entrato pienamente a far parte di un gruppo di lavoro del Jrs presso il centro Al Mukhales di Homs.

Impegnandosi nelle attività del centro, Nader ora è in grado di provvedere alla sua famiglia e restituire qualcosa agli altri nella sua nuova comunità. Nader, sua moglie e i tre bambini vivono, però, ancora in una zona di guerra. «Sentiamo l’importanza della nostra presenza - racconta - anche se tutta la violenza e la tristezza intorno ci spingono ogni tanto a pensare di prendere i passaporti e partire». Nader racconta come la vita ad Aleppo sia andata progressivamente peggiorando. La maggior parte degli adulti ha serie difficoltà a lavorare a causa della violenza, e i loro figli ad andare a scuola. È diventato un fatto consueto vedere uomini armati che entrano nei negozi, puntano i fucili contro i proprietari e intimano loro di andarsene perché hanno preso il controllo della zona.

Nader e i suoi colleghi non potevano recarsi al lavoro per gli scontri violenti tra ribelli estremisti e le forze governative. Anche se la società per cui lavorava ha continuato a pagare i dipendenti, dopo alcuni mesi è stata costretta a chiudere per bancarotta e mancanza di sicurezza. La fede di Nader lo ha aiutato a superare le difficoltà. Crede che «Dio assegni a ciascuno un ruolo» e non teme di morire. «Mia moglie e io indossiamo la “maschera dei coraggiosi” in modo che i nostri figli non vedano la paura sui nostri volti. Malgrado tutte le difficoltà viviamo anche secondo gli insegnamenti della Chiesa», aggiunge. In questo tempo di angoscia profonda, si sente fortunato ad avere trovato un senso di comunità al Centro al Mukhales, un’esperienza bella perché la gente «si abbraccia».

Prima di essere costretto a fuggire da Aleppo, Nader aveva perso il lavoro e quando è arrivato lo scorso agosto a Homs nella casa dei suoceri si sentiva uno sconfitto. Prima era il capofamiglia e aveva un buon lavoro come contabile in una società che vendeva articoli per l’igiene. I pochi risparmi che aveva sono finiti presto ed è stato costretto ad accettare cibo dalla chiesa locale, Al Mukhales. «È difficile accettare l’idea di chiedere la carità», racconta. Ma la sua sorte è cambiata quando ha incontrato un prete che aveva conosciuto anni prima ad Aleppo, Ziad Hilal, un gesuita siriano che ora è responsabile dei progetti del Jrs a Homs. Padre Ziad gli ha proposto di andare a lavorare al Centro Al Mukhales e poco dopo Nader si è unito al personale del Jrs, trovando un modo per guadagnare da vivere e aiutare gli altri.

Nell’équipe che si occupa di distribuzione svolge diverse mansioni, dall’acquisto di beni di prima necessità, come viveri e lenzuola, alla loro distribuzione nelle famiglie. Il lavoro richiede di muoversi in zone pericolose all’interno di Homs, dove sono in corso scontri frequenti. «Mi piace il mio lavoro perché aiuto gli sfollati come me a superare le loro paure, ma è un compito che comporta molta pressione psicologica. Tutto è nel caos e c’è un grande spargimento di sangue e un’insensata perdita di vite umane». Per Nader, le persone aiutate nel centro «sentono ancora l’importanza della nostra presenza». «Viviamo perché amiamo. Il Signore ci dice di non avere paura e questa frase è rivolta a ciascuno di noi sopravvissuto alle guerre nel Medio Oriente. Sento che ognuno di noi ha un compito e, poiché ho ricevuto aiuto e pace nel Centro, ora desidero ricambiare aiutando chi ha bisogno».

 

© FCSF – Popoli