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Iran: scarcerata Nasrin Sotoudeh, avvocato coraggio
19 settembre 2013

Chi è Nasrin Sotoudeh, l'avvocato iraniana scarcerata ieri, dopo tre anni di prigione. Era stata condannata a 11 anni per «attività contro la sicurezza nazionale», «propaganda» e «appartenenza a un’organizzazione illegale», cioè il Centro per i difensori dei diritti umani. Pubblichiamo anche online il profilo della Sotoudeh, uscito sul numero cartaceo di agosto-settembre di Popoli.


 

L’Iran il 14 giugno ha eletto il suo nuovo presidente, il «moderato» Hasan Rohani, la cui vittoria al primo turno è stata accolta come un segno di distensione nei rapporti internazionali. Si vedrà quali saranno le sue mosse dopo l’entrata in carica ufficiale il 3 agosto. Le precedenti consultazioni del 2009, condizionate dai brogli che favorirono la rielezione di Ahmadinejad, avevano scatenato le proteste dell’Onda verde, la più grande manifestazione di scontento verso il regime della Repubblica islamica in trent’anni dalla sua fondazione. La protesta fu spenta con la forza: decine di studenti, intellettuali e giornalisti sono finiti in carcere, i leader politici di riferimento sono ancora agli arresti domiciliari.

Accanto a molti attivisti e difensori dei diritti umani si è schierata Nasrin Sotoudeh, avvocato di Tehran, sposata e madre di due figli, che lo scorso 30 maggio ha festeggiato i suoi 50 anni in carcere.
Sotoudeh è una donna coraggiosa: dal 4 settembre 2010 sconta nel braccio femminile della famigerata prigione di Evin una condanna a undici anni, poi ridotti a sei in appello, e a vent’anni di sospensione dall’attività forense, per «attività contro la sicurezza nazionale», «propaganda» e «appartenenza a un’organizzazione illegale», cioè il Centro per i difensori dei diritti umani.

Sotoudeh ha preso le difese di politici, attivisti, studenti. Tra i suoi assistiti anche la collega avvocato Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace nel 2003 e oggi in esilio.

L’Iran nega di tenere in carcere persone accusate di reati politici, ma non è dello stesso parere il Parlamento europeo che, nell’ottobre 2012 ha insignito Sotoudeh del premio Sakharov per la Libertà di pensiero (insieme al regista e connazionale Jafar Panahi). E Martin Schultz, presidente dell’Europarlamento, l’ha definita «una donna che non si è piegata davanti alla paura e alle intimidazioni e ha deciso di porre il destino del suo Paese davanti al proprio».
Alla condanna Sotoudeh ha reagito con due scioperi della fame: il primo, per protestare contro il divieto di ricevere visite dei famigliari, ha avuto successo. Il secondo, durato 49 giorni e che l’ha portata a peggiorare il suo stato di salute, è iniziato lo scorso autunno in risposta alla decisione delle autorità di impedire alla figlia di uscire dall’Iran. Alla fine, in gennaio le è stato concesso un permesso di tre giorni per tornare in famiglia.

In una lettera dal carcere ai suoi sostenitori, ha scritto: «Ho avuto l’onore di difendere i bambini nel mio Paese. Punire i minori è assolutamente proibito, e lo è ancora di più per accuse politiche rivolte ai genitori. Per dare un’idea di questo trattamento illegale, basti ricordare che un terzo delle 36 donne detenute per ragioni politiche con me hanno famigliari imprigionati o perseguiti dalle autorità».

Un aspetto centrale del suo impegno per i diritti umani è la battaglia contro le condanne a morte di minori eseguite in Iran. «In una società che percepisce le ragazze sopra i 10 anni e i maschi sopra i 16 come persone mature che possono essere processate per crimini, i tribunali vanno contro gli obblighi internazionali assunti dall’Iran. Non possono esserci esecuzioni per minorenni». Anche in carcere la battaglia dell’avvocato Sotoudeh continua e il sostegno che raccoglie a livello internazionale amplifica la sua voce. La sua condanna sembra ritorcersi contro chi l’ha emessa.

© FCSF – Popoli