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La Thailandia bloccata tra "rossi" e "gialli"
28 marzo 2014

Con il recente pronunciamento della Corte costituzionale, che ha invalidato le elezioni dello scorso febbraio, il Paese asiatico resta spaccato tra «rossi» e «gialli». Un gesuita descrive lo stallo politico che non sembra trovare soluzione.


La Thailandia, la «Terra dei sorrisi»,
è diventata all’improvviso un Paese terribilmente polarizzato. E più avanza in questo processo, più la situazione si fa complessa. Dall’inizio delle proteste politiche (novembre 2013), si possono vedere folle che indossano magliette di diversi colori. Ci sono le «t-shirt rosse» e le «t-shirt gialle»: entrambi i gruppi ostentano la propria presenza, soprattutto a Bangkok ed è interessante notare che tutto questo sta avvenendo principalmente nella capitale. 

Le magliette rosse sostengono il governo e il suo partito di maggioranza, «Phuea Thai» («Per i thailandesi»). Le magliette gialle sostengono il campo avverso, chiedendo che il governo in carica, e specialmente il principale partito, lascino il potere.

Il governo attuale, in carica dal 9 dicembre 2013, è provvisorio. Si è insediato quando il primo ministro, la signora Yingluck Shinawatra, ha sciolto il parlamento e indetto nuove elezioni. La sua scelta è stata presa di fronte alle crescenti proteste di piazza nella capitale. Shinawatra è sorella dell’ex primo ministro, Thaksin Shinawatra, che fu rovesciato dal potere con un colpo di Stato militare nel 2006 e successivamente condannato a due anni di carcere per frode. Quando finalmente i militari hanno lasciato il potere e indetto elezioni democratiche per un nuovo governo, lo stesso partito che era al governo con Thaksin è stato rieletto dalla maggioranza della popolazione. 

Ciò ha ricreato tensioni con l’opposizione, che accusava Thaksin e i suoi di corruzione, abuso di potere e brogli. Ma il governo ha potuto rispondere che godeva ancora di popolarità tra gli elettori (le zone di maggiore sostegno sono il nord e il nord-est del Paese).

A quanto pare sono soprattutto gli abitanti della capitale (8 milioni di abitanti su 70 milioni) che non approvano la situazione politica. Le prime proteste sono scoppiate per una legge di amnistia che il governo stava cercando di fare approvare in parlamento e che avrebbe portato all’assoluzione di Thaksin da tutte le condanne. Non vedendo vie d’uscita per un cambio politico, larghi settori dell’opinione pubblica hanno preferito scendere in piazza, costringere il governo alle dimissioni e insediare un governo provvisorio che non fosse in mano agli Shinawatra per riformare il Paese prima di andare a nuove («libere e indipendenti») elezioni.

L’Occidente affronta la situazione in maniera troppo semplicistica. Per la maggior parte dei Paesi occidentali, finché si tengono elezioni, la volontà popolare va semplicemente rispettata. Ma i partiti di opposizione presenti oggi in Thailandia tendono a vedere la situazione politica come troppo corrotta e compromessa dal «regime di Thaksin» perché si possano svolgere elezioni realmente libere. Perciò l’opposizione non ha intenzione di tornare alle urne in questo momento.

La monarchia (rappresentata da Rama IX, sul trono dal 1946, ndt) è rimasta in silenzio durante questa fase di stallo. Secondo la Costituzione, il re - che gode di profondo rispetto e ascolto - dovrebbe avere una posizione super partes, come guida morale della nazione. Normalmente il monarca interviene in situazioni di violenza o quando è evidente che l’impasse non può essere superato. Inoltre una larga parte delle «magliette rosse» e il partito di maggioranza includono ampi settori antimonarchici (lo stesso Thaksin è accusato di volere instaurare la repubblica).

Anche l’esercito e la polizia hanno assunto una posizione defilata in queste manifestazioni pubbliche (tranne quando sono intervenuti per liberare i palazzi del governo e alcune manifestazioni violente). Finora le forze armate hanno coerentemente rifiutato di intervenire con gli strumenti del colpo di Stato. Perché? Ci molte spiegazioni possibili, tutte legate alla mutevole situazione del momento: i militari sono al soldo dei partiti politici, grazie agli ingenti fondi di cui questi dispongono? Di Thaksin? Di altri?

La Thailandia resta poi bloccata intorno a un’altra questione in mano al governo: dopo lo scioglimento del Parlamento il 2 febbraio si sono svolte le elezioni anticipate, ma in molte zone del Paese si sono verificati boicottaggi e blocchi delle registrazioni dei candidati e dei seggi, rendendo le elezioni «incomplete», con un numero di rappresentati eletti insufficiente per inaugurare legalmente il nuovo Parlamento. Il governo intendeva indire elezioni suppletive nei territori dove non si era svolto il primo turno, ma ciò è stato impedito dalla Corte costituzionale perché la Costituzione prescrive che il voto parlamentare si svolga in tutto lo Stato nello stesso giorno. Alla fine, il 21 marzo, la Corte costituzionale ha invalidato le elezioni del 2 febbraio proprio perché il voto non si è svolto in tutto il territorio nazionale.

In aggiunta a tali eventi che impediscono di sbloccare lo stallo, la Commissione anti-corruzione ha avanzato accuse contro la signora Shinawatra, che ricopre ancora la carica di primo ministro, per inadempienza dei propri compiti istituzionali (esiste anche un grande scandalo intorno al prezzo del riso che complica ancora di più la situazione). Se la magistratura accetterà di procedere, il primo ministro dovrà dimettersi e non potrà governare mentre è sotto inchiesta. Pertanto potremmo essere al punto in cui un outsider venga nominato come primo ministro temporaneo, senza essere affiliato ad alcuno dei principali partiti. In qualche modo indipendente, potrebbe essere in grado di sbloccare le molteplici impasse.

Per decenni la Thailandia è stata uno dei Paesi più ricchi e pacifici del Sud-Est asiatico. Con l’emergere degli interessi di parte e differenze di opinione apparentemente insormontabili, tutto questo è destinato a finire? Sarebbe una grande perdita per l’Asia se la «Terra dei sorrisi» perdesse i sorrisi e diventasse una terra di odio e violenza.

Paul E. Pollock SJ
Ex superiore dei gesuiti della Thailandia,
attualmente vive a Chiangmai


© FCSF – Popoli