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Lo storico: "La religione non c’entra. È una lotta per il potere"
24/7/2014
Con l’occupazione di Mosul e di larga parte dell’Iraq occidentale, le milizie fondamentaliste dell’Isis (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) hanno scatenato una dura repressione delle minoranze religiose colpendo duramente la popolazione sciita e quella cristiana. Ma da dove nasce questo odio delle formazioni sunnite? E questa lotta come si inserisce nel contesto politico e sociale iracheno? Popoli lo ha chiesto a Massimo Campanini, storico del Medio Oriente arabo contemporaneo, nonché storico della filosofia islamica.

«Lo scontro tra sciiti e sunniti risale al tempo dell’Impero ottomano quando la Sublime Porta favoriva i sunniti a discapito degli sciiti, che pure erano la maggioranza della popolazione. Ciò ha creato un risentimento degli sciiti nei confronti dei sunniti. Il problema è che gli sciiti per lungo tempo sono rimasti al di fuori dei giochi politici. Solo nel corso del XX secolo sono nate le grandi correnti di sciismo politico tra cui la più importante è stata quella di Baqir al Sadr, il fondatore del partito islamico Dawa e dell’Organizzazione dei diseredati, uno dei sommovimenti dello sciismo che hanno anticipato la rivoluzione khomeinista iraniana. La rivalità ha quindi una radice storica profonda alimentata dal fatto che, sotto Saddam Hussein, i sunniti hanno ancora preso il sopravvento sugli sciiti che sono stati emarginati rispetto non solo alla gestione del potere, ma anche all’accesso alle risorse e all’utilizzazione del sistema di produzione industriale iracheno».

In questa rivalità come ha giocato l’intervento degli Stati Uniti in Iraq?
Quando nel 2003 l’Iraq è stato invaso dalle forze statunitensi, al Qaeda si è infiltrata nel Paese. Sotto la guida di Abu Moussa al Zarkawi, i sunniti qaedisti hanno alimentato il conflitto con gli sciiti. I fanatici sunniti infatti considerano lo sciismo un’eresia e lottano per distruggerlo ed emarginarlo. Quando in Iraq è stato ripristinato lo Stato centrale e gli sciiti hanno preso il potere, l’opposizione sunnita si è ulteriprmente accentuata. L’intervento Usa ha quindi scoperchiato il vaso di Pandora dell’Iraq multietnico e multireligioso.

I precetti religiosi islamici giustificano la violenza che l’Isis sta mettendo in campo in queste settimane?
I precetti islamici non giustificano in alcun modo la violenza tra le due componenti dell’islam. La violenza attuale ha origine unicamente nella politica: l’Isis strumentalizza la religione per giustificare azioni che hanno logiche e finalità politiche. Sciiti e sunniti si accusano reciprocamente di eresia legittimando religiosamente un conflitto che ha come obiettivo il potere.

La lotta per il potere però non si limita all’Iraq...
Direi di no. Al Qaeda come centrale del terrore, come Spectre, non esiste più. Ormai esistono diverse ramificazioni di questa organizzazione: al Qaeda per il Maghreb islamico, al Qaeda in Yemen, ecc. Tenendo presente quindi che non esiste più una centrale organizzata con una cupola che decide unanimamente le strategie globali da portare avanti negli scacchieri nazionali e globali, l’obiettivo dei terroristi è una balcanizzazione di Medio Oriente e Nordafrica. I jihadisti contemporanei, infatti, aspirano a scatenare una fitna interna alla comunità, un «dissenso» o meglio una «discordia», che consenta loro di fare piazza pulita dei nemici, di imporre una visione integralista dell’islam, di condannare come peccatori e anti-musulmani tutti coloro che non ne condividono le idee.

In questo contesto come si inserisce il particolare accanimento contro i cristiani?
La campagna anticristiana si inserisce in quell’opposizione manichea che l’Isis sta portando avanti nei confronti di tutte le minoranze religiose. I seguaci di Abu Bakr al Baghdadi stanno esercitando una violenza inaudita contro gli sciiti che, pur essendo una minoranza, sono una grande comunità e contro i cristiani che in Iraq sono una presenza storica. Pur se tragica, la persecuzione dei cristiani ha però non ha una grande valenza politica. Dopo la caduta di Saddam Hussein, infatti, la comunità si è ridotta di numero e oggi non ha un peso significante nella realtà irachena. Per l’Isis però perseguitare i cristiani ha una valenza propagandistica perché intende dimostrare all’islamismo più intransigente che i suoi uomini sanno opporsi a una di quelle espressioni dell’Occidente che combattono.

Il governo di al Maliki riuscirà a contrastare l’avanzata di Isis?
Al Maliki non ha la forza per poter riprendere il controllo della situazione e di tenere sotto controllo lo Stato centrale. Il Sud sciita graviterà sempre più nell’orbita iraniana. I sunniti non possono accettare questa situazione e in questo contesto l’Isis trova terreno fertile per ritagliarsi i suoi spazi. Anche i curdi andranno per conto loro. Esitano a proclamare l’indipendenza perché non è il momento giusto, ma prima o poi se ne andranno con la ricchezza che deriva dalle ingenti rendite petrolifere. Ormai l’Iraq come Stato unitario non esiste più.
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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