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Madagascar: nuova Carta, problemi di sempre
25 novembre 2010
Nel referendum costituzionale, che si è tenuto il 17 novembre in Madagascar, ha vinto il sì. Entrerà così in vigore una nuova costituzione che prevede il limite di due mandati consecutivi per il presidente, abbassa la soglia dell’età presidenziale da 40 a 35 anni e assegna maggiori poteri alle amministrazioni provinciali. La riforma è stata fortemente voluta da Andry Rajoelina, giunto al potere un anno fa grazie all’appoggio dei militari e la cui presidenza non è riconosciuta a livello internazionale.

La nuova Carta costituzionale porterà stabilità al Paese? «Con l’entrata in vigore della costituzione - spiega un missionario italiano che da più di quarant’anni vive e lavora in Madagascar - nessuno si aspetta miracoli. La vittoria del “sì” però potrà forse portare un po’ di chiarezza nel panorama politico malgascio, da anni sconvolto tensioni fra i partiti e colpi di Stato». Dal 2009, quando ha preso il potere Rajoelina, il Paese vive una crisi politica segnata da un braccio di ferro tra lo stesso Rajoelina e la corrente dei tre presidenti che lo hanno preceduto: Marc Ravalomanana (spodestato dall’attuale presidente e costretto a vivere in esilio), Albert Zafy e Didier Ratsiraka. Diversi tentativi di dialogo, patrocinati dalla comunità internazionale, non sono riusciti a ricomporre le lacerazioni. In questa situazione hanno giocato un ruolo di primo piano anche i militari. Le forze armate, schierandosi a favore di Rajoelina, gli hanno permesso di prendere il potere. Anche se all’interno dell’esercito non tutti sostengono l’attuale presidente. Non è un caso che, proprio durante le operazioni di voto del referendum, un gruppo di militari (si dice vicini a Marc Ravalomanana) abbia tentato un golpe, subito neutralizzato senza spargimento di sangue, grazie alla mediazione di alcuni alti ufficiali.

«In questa situazione intricata - continua il missionario - nessuno offre un piano politico chiaro e organico, nessuno offre qualcosa di nuovo per aiutare questo popolo che è ancora all’85% contadino e che per il 50% vive sotto il livello di povertà (meno di un dollaro al giorno). Non è solo la politica a essere inerte. Sulle nostre strade si vedono sempre di più sfrecciare le grandi auto 4x4 di lusso degli organismi internazionali, ma non si ha notizia di programmi efficaci per offrire un lavoro a chi non ce l’ha. I sacerdoti e le suore che operano nelle province del sud e del sud-ovest riferiscono di interi villaggi che si spopolano in cerca di cibo per loro e per i loro animali».
La popolazione che deve combattere tutti i giorni contro la miseria sono diventati indifferenti agli sconvolgimenti politici. « Non c’è tensione nei villaggi e nelle città, non c’è quell’aria da guerra civile che si respirava lo scorso anno - conclude il missionario - . La gran parte dei malgasci continua a lavorare nei campi e nelle risaie per strappare quel poco che permette loro di sopravvivere, senza capire molto che cosa stia succedendo a livello politico. Speriamo che la situazione non degeneri».
Enrico Casale
© FCSF – Popoli