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Nucleare addio? L'Europa guarda al deserto
15 giugno 2011
Catturare il sole e il vento del Sahara per produrre energia per Nord Africa, Medio Oriente ed Europa. È il progetto Desertec, un consorzio di grandi imprese, sponsorizzate dal governo tedesco. È ancora un progetto sulla carta, ma suscita grandi attese in Italia (soprattutto dopo la vittoria del fronte antinuclearista nel referendum del 12 e 13 giugno) e in Europa (come testimonia il recente articolo appasro su Le Monde) e qualche critica. Di seguito pubblichiamo l'articolo uscito sul numero di giugno-luglio di Popoli.

Perché non sfruttare i deserti per produrre energia rinnovabile per Africa ed Europa? Se ne parla da qualche anno, ma l’idea è ancora sulla carta e nessun progetto è stato realizzato. Eppure l’intuizione ha suscitato grande interesse non solo nei ristretti ambienti degli ecologisti, ma anche tra governi, enti di ricerca, gruppi industriali. Segno che ormai si guarda con sempre maggiore interesse a nuove ipotesi per il dopo-petrolio. In questo contesto l’iniziativa più concreta si chiama Desertec, un consorzio, sponsorizzato dal governo tedesco, che ha come obiettivo lo sfruttamento delle distese desertiche, disabitate e improduttive del Nord Africa e del Medio Oriente per produrre energia da utilizzare in loco e da esportare. Ma di che cosa si tratta? Quali possibilità ha di essere realizzato?

IMPRENDITORI «AMBIENTALISTI»
Il primo a guardare con interesse alle potenzialità energetiche del deserto è stato il Club di Roma, un’associazione di scienziati, economisti, imprenditori e politici che analizza i problemi della globalizzazione. Siamo verso la metà degli anni Novanta, quando il Club pubblica un primo studio. A molti esperti l’idea pare irrealizzabile. Ma la branca tedesca del Club di Roma ci crede e nel 2003 crea Trec (Trans Mediterranean Renewable Energy Cooperation). Trec è un’associazione che si propone di dar vita a una cooperazione euro-mediterranea sulle energie rinnovabili, con un forte accento sul solare. Un’energia «pulita» che permetterebbe all’Europa di ridurre le emissioni di anidride carbonica e la dipendenza da carburanti fossili e al Nord Africa di avere energia indispensabile per il suo sviluppo. «Trec - spiega Massimo Falchetta, ricercatore dell’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) - era un gruppo di studio che si avvaleva di contributi autorevoli tra i quali quello del Dlr, Centro aerospaziale tedesco che, appoggiato dal ministero dell’Ambiente tedesco, ha elaborato progetti dettagliati».
L’analisi scientifica non basta però per realizzare un progetto complesso. Così, nel 2007, Trec si trasforma in Desertec. «A differenza di Trec - continua Falchetta -, Desertec non è solo un centro studi, ma un’organizzazione con l’ambizione di portare a progetti concreti. Non è un caso che a sostenerlo ci siano alcuni grandi gruppi industriali e bancari, tra i quali Siemens, Abb e Deutsche Bank. E non è neppure un caso che da Desertec sia nata Desertec Industrial Initiative, della quale fanno parte numerose società del settore, una sorta di lobby delle energie rinnovabili».
Secondo i calcoli di Desertec, la richiesta di energia in Europa, che nel 2000 era di 3.500 TWh (Terawattora, ovvero miliardi di KWh) l’anno, è destinata a crescere fino a 4.300 TWh nel 2040. Di fronte all’aumento della domanda di energia, le riserve di petrolio e uranio sembrano però destinate a esaurirsi (secondo alcune stime, l’oro nero potrebbe terminare in una settantina di anni e il minerale radioattivo entro una quarantina). Diventa quindi indispensabile andare alla ricerca di nuove fonti energetiche che abbiano anche un impatto minimo su atmosfera e ambiente. È in questo contesto che il deserto può diventare strategico, scommettendo, in particolare, sull’energia solare (alcune aree sono irraggiate per più di 300 giorni l’anno). «In sei ore - dice Gerhard Knies, membro del Club di Roma ed animatore di Trec - i deserti ricevono più energia di quanta il pianeta ne consumi in un anno».
Come è possibile catturare l’energia solare? Una delle tecnologie più sperimentate è quella dei pannelli fotovoltaici, dispositivi in grado di convertire l’energia solare direttamente in energia elettrica mediante un procedimento fisico. In questi ultimi anni si stanno però facendo strada anche le centrali solari termodinamiche. In esse, la radiazione solare viene concentrata in specchi parabolici e convertita in calore ad alta temperatura, che poi è trasformato da turbine a vapore in elettricità. Gli Stati Uniti hanno realizzato alcune centrali nel deserto del Mojave, in California. In Italia ne è in funzione una a Priolo (Sr), realizzata dall’Enel su un progetto di Carlo Rubbia e dell’Enea. «Le due tecnologie - sottolinea Valerio Rossi Albertini, ricercatore del Cnr - hanno caratteristiche diverse. Il fotovoltaico è molto efficiente perché trasforma l’energia solare direttamente in energia elettrica. I costi sono però notevoli e va tenuto presente anche l’impatto ambientale. Alcune componenti dei pannelli sono tossiche e vanno smaltite con attenzione. Le centrali solari termodinamiche adottano un sistema più semplice, ma meno efficiente, perché la conversione della luce del sole in calore e di questo in energia implica una dispersione».
Oltre alle tecnologie legate al solare, Desertec non esclude la possibilità di creare anche impianti eolici (in particolare in Marocco e sul Mar Rosso). «La tecnologia legata all’eolico - spiega Ingmar Wilhelm, responsabile Business Development di Enel Green Power, la branca di Enel che si occupa di energie rinnovabili e che partecipa al progetto Desertec - è la più avanzata tra quelle legate alle energie rinnovabili. Si tratta di trovare i siti che combinino una buona ventosità e la vicinanza ai centri in cui l’elettricità viene utilizzata. In Tunisia e Marocco, per esempio, la popolazione è concentrata in poche aree, ma i siti ventosi spesso sono lontani. È necessario allora capire dove creare i parchi eolici in modo tale che non sia necessario costruire imponenti elettrodotti».

ENERGIA E OCCUPAZIONE
L’energia verrebbe consumata in maggior parte in loco. «Desertec - spiega Falchetta - si è concentrato su Medio Oriente e Nord Africa perché, oltre a possedere gli spazi e le caratteristiche adatte alla produzione, le due regioni potrebbero essere un ottimo mercato. Se l’economia nordafricana si svilupperà secondo le previsioni, fra 50 anni la popolazione sarà il doppio di quella europea e consumerà il doppio di energia rispetto ad ora». La produzione però potrebbe essere esportata anche in Europa. «Esiste uno studio che si chiama Trans-Csp, elaborato dal Dlr e che fa parte degli studi effettuati in ambito Desertec, che analizza come portare in Europa la corrente prodotta in Africa. A questo scopo verrebbero utilizzate linee elettriche ad altissima tensione, una tecnologia di punta, ma già esistente. Prima che scoppiassero le rivolte nel mondo arabo si stava progettando un elettrodotto sottomarino tra Italia e Tunisia da 400 MW di potenza di trasmissione».
Le fonti rinnovabili garantirebbero anche un elevato impiego di manodopera. Se il solare fotovoltaico ha un’elevata componente tecnologica e i pannelli sono realizzati in Europa o Asia, nel solare termodinamico, così come nell’eolico, una parte delle centrali può essere invece prodotta localmente. «Credo che le energie rinnovabili - spiega Sven Teske, esperto di Green­peace International - potrebbero avere grandi ricadute occupazionali. Penso non solo alla costruzione in loco di parti delle centrali solari termodinamiche e solari, ma anche alle operazioni di manutenzione (pulizia degli specchi, riparazioni delle tubature e delle turbine, ecc.) che potrebbero essere fatte esclusivamente da manodopera locale».
Desertec stima che, per realizzare un progetto che copra entro il 2050 una quota del fabbisogno dei Paesi nordafricani e mediorientali ed esporti una quantità di energia tale da soddisfare almeno il 15% del fabbisogno europeo, sia necessario investire 400 miliardi di euro nei prossimi vent’anni. Somma che verrebbe coperta in parte da finanziamenti pubblici e, in parte, da banche e investitori privati. «Per il momento però - precisa Falchetta - tutto è ancora sulla carta. Sono stati eseguiti studi di fattibilità e sono state effettuate azioni di sensibilizzazione. Infatti Desertec, almeno in questa fase, non si propone di realizzare impianti, ma di porre le condizioni affinché si possano sviluppare investimenti in merito. Sull’onda di Desertec, l’Unione europea ha lanciato un proprio programma concreto, il Mediterranean Solar Plan, che prevede una collaborazione euro-mediterranea per realizzare 20mila MW di impianti solari sulla sponda sud del Mediterraneo. Sempre sull’onda di Desertec il governo del Marocco ha pubblicato un bando per la realizzazione di un complesso di  centrali solari termodinamiche per un totale di 500 MW a Ouarzazate, che entrerà in servizio nel 2015. Un progetto a cui è candidata anche Enel Green Power (in collaborazione con il gruppo spagnolo Acs)».

MA NON CONVINCE TUTTI
Desertec quindi si presenta come un progetto di ampia portata con numerosi aspetti positivi, ma non mancano le critiche. L’aspetto più controverso è il costo. «Reperire i 400 miliardi di euro necessari non è un’impresa semplice - ha scritto Arezki Daoud su The North Africa Journal -. Un progetto simile potrebbe essere finanziato dai fondi sovrani o direttamente dagli Stati. Ma dopo la crisi di Dubai e quella della Grecia chi è disposto a rischiare investimenti simili?».
Le difficoltà però non sono solo legate ai finanziamenti. Il progetto Desertec coinvolge molti Paesi europei, nordafricani e mediorientali. Nazioni che hanno legislazioni e interessi diversi. «Tenere insieme queste normative e questi interessi - osserva Daoud - non sarà per niente semplice quando dai progetti sulla carta si passerà ai piani operativi». Sempre dal punto di vista politico va tenuto presente che Nord Africa e Medio Oriente sono regioni caratterizzate da forte instabilità, come dimostrano le recenti rivolte. «Per ora - osserva Falchetta -, le rivolte hanno bloccato le iniziative nei Paesi coinvolti in attesa degli sviluppi. Se dovessero prendere il potere i fondamentalisti probabilmente Desertec non avrà seguito perché si bloccherebbero i rapporti con l’Europa. Ma se si affermassero governi democratici, Desertec avrebbe tutto da guadagnarci. Inoltre l’area potenzialmente interessata è immensa e non può essere trattata in modo uniforme; per esempio il progetto marocchino di Ouarzazate non ha subito contraccolpi».
Alcuni detrattori sostengono poi che le tecnologie (soprattutto quelle legate al solare) non siano adatte alle condizioni climatiche africane. In effetti, gli stessi tecnici di Desertec non nascondono le difficoltà. Non è un caso che, poco prima che scoppiasse la rivolta in Tunisia, sia stato creato a Tunisi il Desertec University Network (Dun), il cui compito è adeguare le tecnologie sviluppate in Europa alle condizioni specifiche dell’area, climatiche e ambientali prima di tutto.
Infine qualcuno vede in Desertec una nuova forma di colonizzazione mascherata che sfrutta le risorse africane per esigenze europee. «C’è una certa confusione in Europa sulla natura di Desertec - osserva Mouldi Miled, tunisino, direttore del Dun -. Molti lo considerano come un progetto per generare energia pulita nel Sahara ed esportarla in Europa. Ma l’export è solo un obiettivo secondario, anche se importante perché può garantire gli investimenti necessari. Abbiamo prima di tutto bisogno di energia per noi. Ne usiamo sempre di più: per esempio per dissalare l’acqua».    
Enrico Casale
© FCSF – Popoli