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Primavere arabe: la politica cambia, l'economia no
24 gennaio 2013
«Tracollo delle economie? No, per il momento si è assistito a una flessione della produzione, ma non a un default del sistema finanziario e produttivo del Nord Africa». Lucia Tajoli, autrice insieme a Elisa Borghi e a Rodolfo Helg del rapporto Conseguenze economiche della Primavera araba, realizzato per conto del ministero degli Affari esteri italiano, traccia così un sommario bilancio dell’andamento economico dei Paesi dell’Africa mediterranea a due anni dall’inizio delle rivolte.

Qual era la situazione economica dei Paesi nordafricani prima dello scoppio della Primavera araba?
La situazione economica complessiva non era particolarmente negativa. Negli ultimi 10-15 anni, le economie nordafricane crescevano abbastanza velocemente anche se le dinamiche demografiche erano talmente sostenute da assorbire quasi interamente la ricchezza creata. Se esaminiamo la situazione nel dettaglio possiamo notare come i tassi di crescita del Pil (Prodotto interno lordo), pur non essendo elevati come quelli di alcuni Paesi asiatici, dal 2005 al 2010 aumentavano tra il 3 e il 7% annuo. Contemporaneamente però la popolazione cresceva al ritmo del 5-6%, l’incremento del Pil quindi non era sufficiente ad aumentare il benessere complessivo della popolazione. Un altro dato può far meglio comprendere la dinamica. Il Nord Africa Paesi contribuiva per l’1,37% al Pil mondiale, ma nei suoi Paesi viveva il 2,4% della popolazione mondiale.

In quali condizioni si trovavano le finanze pubbliche?
I conti pubblici non erano dissestati. Se prendiamo in considerazione il rapporto tra deficit e Pil, alcuni Paesi del Nord Africa avevano situazioni addirittura migliore di alcuni Paesi dell’Unione europea. Algeria e Libia, prima della Primavera araba, grazie alle esportazioni di idrocarburi, avevano bilanci in avanzo. L’Egitto aveva un disavanzo dell’8% rispetto al Pil: un dato non propriamente positivo, ma comunque migliore rispetto a quello della Grecia. La Tunisia è sempre stata sotto il 3%.

Quali erano i comparti di punta di queste economie?
Algeria e Libia avevano e hanno economie basate fondamentalmente sulle materie prime energetiche: petrolio e gas. Egitto, Marocco e Tunisia invece sono più diversificate. L’agricoltura è ancora alla base della loro produzione, però negli anni si sono sviluppati anche comparti industriali tradizionali. In Tunisia e in Egitto, per esempio, è molto forte il tessile-abbigliamento. In Egitto ha un’importanza non secondaria anche il turismo.

Quali effetti hanno avuto le rivolte sulle economie del Nord Africa?
Le Primavere arabe hanno prodotto effetti meno evidenti di quelli che ci aspettavamo. L’unico Paese che ha subito un autentico sconquasso economico è stata la Libia. La sua economia si è bloccata completamente nel 2011. Nel 2010 il Pil della Libia era cresciuto del 2,5%, nel 2011 ha subito un calo del 61% con il crollo a zero delle esportazioni verso l’Europa. Nel 2012 si è registrato un forte «rimbalzo» e il Pil è cresciuto del 70% rispetto al 2011. Quindi il Paese non ha recuperato la ricchezza precedente alla rivolta, ma è comunque tornato a crescere.

E gli altri Paesi?
Negli altri Paesi l’economia ha rallentato, ma non si è fermata. L’Egitto, che aveva forti tassi di crescita fino al 2010, nel 2011 e nel 2012 è comunque cresciuto anche se a tassi inferiori. Ciò è vero anche per la Tunisia, l’Algeria e il Marocco. Lo testimoniano le esportazioni. Per esempio, fino al 2010, quelle verso l’Italia crescevano del 10% all’anno. Nel 2011 complessivamente sono cresciute del 5-6%. Si sono quasi dimezzate, ma non si sono arrestate. Ovviamente il disavanzo pubblico è cresciuto in tutti i Paesi.

Quindi si può dire che le rivolte non hanno avuto conseguenze economiche?
No, l’instabilità politica ha avuto delle conseguenze economiche rilevanti. Gli investimenti esteri diretti, per esempio, nel 2011 si sono più che dimezzati. Nell’intero Nord Africa i flussi di investimento diretto erano pari a 13 miliardi di dollari nel 2010 e sono scesi a 5,5 miliardi nel 2011. A livello mondiale, questi Paesi ricevevano poco più dell’1% degli investimenti esteri nel 2010, l’anno successivo sono scesi allo 0,38%. Detto questo, non si è assistito a un tracollo e alcuni settori si stanno riprendendo. Tra questi il turismo. In Egitto, per esempio, nel 2010 erano arrivati 14 milioni di visitatori, nel 2011 solo 9 milioni. Un calo consistente (più di un terzo), ma il settore non si è comunque fermato e i dati del 2012 sembrano tornati sui livelli del 2010.

Le rivolte arabe hanno portato al potere partiti di ispirazione islamica. Alcuni esponenti politici avevano annunciato la trasformazione della finanza e dell’economia secondo i principi dettati dalla morale musulmana. È cambiato qualcosa in questo senso?
L’impressione è che, al di là di posizioni ideologiche, l’atteggiamento dei governi dei partiti islamici sia stato realista. Se a parole intendono dare un’impronta islamica al settore economico, nei fatti non hanno imposto cambiamenti radicali in nessun settore. Questi nuovi regimi hanno interesse a mantenere aperti i canali di scambio con l’Europa. Quindi penso che il pragmatismo avrà la meglio.
Enrico Casale

© FCSF – Popoli