Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Primo piano
Cerca in Primo Piano
 
Quel che resta
di un pellegrinaggio
28/05/2014
Alle 23.50 di lunedì sera, l'aereo della El Al con a bordo Papa Francesco è atterrato a Ciampino. È stato un viaggio di soli tre giorni quello del pontefice in Giordania, Palestina e Israele, ma denso di significati. Come al solito Francesco ha colpito in profondità osservatori e interlocutori con i propri gesti e le proprie parole.
Abbiamo chiesto ad alcune persone che, a vario titolo, si occupano di Terrasanta o che comunque hanno seguito da vicino il viaggio papale di raccontarci in modo sintetico ciò che più li ha colpiti. Ecco le loro risposte.

Daniel Attinger Monaco di Bose, esperto di ecumenismo
«Non abbiate paura!»: questo il grande messaggio lanciato al Santo Sepolcro da Francesco e Bartholomeos I a cinquant’anni dallo storico abbraccio tra papa Paolo VI e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Athenagoras I a Gerusalemme nel 1964. Mi fermo solo su questo incontro.
Sono stati riconosciuti i passi fatti grazie ai teologi e a coloro che, anche al prezzo del loro sangue, hanno cercato di vivere l’unità. Il cammino è ancora lungo, «ma le divergenze non devono spaventarci».
Papa Francesco ha osato riaprire la discussione, taciuta da anni, «per trovare una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione», corrisponda alle esigenze attuali.
La tomba vuota chiama a respingere il timore «più diffuso nella nostra era moderna, la paura dell’altro». Vorrei allora dire ai responsabili delle Chiese: «Non abbiate paura di voi stessi!». Se si aspetta l’accordo di tutti, la comunione non verrà mai. Ci sono voluti decenni, se non secoli, perché lo scisma fosse consumato, e non è avvenuto fra tutte le Chiese allo stesso momento. La divisione è stata prima locale. Non si abbia quindi timore di prendere sul serio il lavoro dei teologi e di sigillare la comunione con quelli che ci stanno, prima localmente; questo susciterà qualche tempesta, ma orienterà la riflessione non più su cosa fare per ritrovare l’unità, ma su perché non ci siamo arrivati prima.

Lia Beltrami Giovanazzi Ideatrice del progetto Dreams or Reality: Women of Faith for Peace
L'abbraccio al Muro del pianto con i rappresentanti delle tre religioni è un'immagine indimenticabile. Il mondo è cambiato, e chi fomenta il conflitto deve scontrarsi con questa fotografia. L'abbraccio avvolto dal vento dello Spirito è un'indicazione per la via da percorrere.
Fortissimo anche l'invito in Vaticano di Peres e Abu Mazen: un gesto che mette le basi per un'epoca nuova.

Isa Nicola Benassi Membro della delegazione del Coreis (Comunità religiosa islamica) che ha seguito la visita del Papa in Terra Santa
Come Coreis abbiamo deciso di seguire con una nostra delegazione il viaggio del Pontefice perché abbiamo pensato che fosse un'occasione per allacciare nuove relazioni intereligiose con realtà ebraiche e cristiane. Abbiamo infatti incontrato Muhammad Ahmad Husayn, il Gran muftì di Gerusalemme, e David Lau, il rabbino capo di Israele, e abbiamo partecipato al ricevimento organizzato dal presidente israeliano Shimon Peres in onore di Francesco. Questo viaggio ha messo in evidenza come si stia aprendo una nuova stagione di dialogo interreligioso caratterizzata da una nuova maturità che ci permette di migliorare le relazioni tra credenti, aldilà delle difficoltà politiche. Sia in Giordania sia in Israele, papa Francesco ha posto l'accento sul riconoscimento dell'unità del monoteismo abramitico e sulla libertà religiosa nei luoghi santi. Una libertà che è fondamentale e che non può prescindere dal rispetto reciproco tra le tre grandi religioni monoteistiche.

Paolo Bizzeti Gesuita, fondatore e presidente di Amici del Medio Oriente
Mi ha colpito in particolare il bacio al muro che separa Israele dalla Cisgiordania. Il Papa ha fatto poi lo stesso gesto al muro occidentale, quindi ha equiparato i due muri come luogo di pianto, di separazione ma anche di preghiera. Questo dovrebbe far molto riflettere soprattutto Israele, perché questo muro che è luogo di pianto e separazione l'ha costruito arbitrariamente e contro tutte le leggi internazionali (anche per quanto riguarda il tracciato).

Azezet Kidane Suora comboniana impegnata nell’aiuto agli immigrati in Israele
La visita del Papa ha lasciato un segno di speranza nonostante le difficoltà che la Terra Santa dovrà ancora affrontare. Spero che il messaggio di pace, unità e importanza della preghiera possa aiutare la popolazione del Medio Oriente a cercare di camminare insieme verso la pace e la riconciliazione. Nel viaggio del Papa ci sono stati alcuni momenti significativi: la sosta di Francesco al muro di Betlemme e la sua preghiera per la pace; l’incontro con il Patriarca di Costantinopoli nel Santo Sepolcro nel corso del quale hanno offerto un messaggio di comunione nella diversità delle Chiese cristiane; l’abbraccio del Papa al rabbino Abraham Skorka e all’esponente islamico Omar Abboud al Muro del Pianto; l’invito a sorpresa in Vaticano del presidente israeliano Shimon Peres e di quello palestinese Mahnoud Abbas per colloqui di pace.
Il tempo della visita del Pontefice è stato limitato e purtroppo non ha potuto conoscere altre realtà della Terra Santa. Credo che egli ci abbia comunque lasciato un segno di speranza e il suo invito alla preghiera per la pace deve coinvolgerci tutti.

Michael D. Linden SJ Gesuita statunitense, vive ad Amman ed è il superiore della missione in Giordania e Iraq
Come parte della sua missione di guidare il cattolicesimo verso una maggiore unità, il Santo Padre ha incluso la sua visita in Giordania, che è parte della Terra santa. In Giordania i cristiani sono una piccola minoranza, tuttavia, pur appartenendo a denominazioni diverse, vivono già buoni rapporti di collaborazione grazie agli sforzi dei nostri leader e del re. La nostra capacità di metterci in dialogo con le altre religioni aumenta e questo è significativo là dove i cristiani sono una minoranza. Così il Papa ha incontrato ufficialmente il re e la nazione di Giordania e poi ha compiuto una visita pastorale alla sua gente. Culmine di gioia, spirito di collaborazione e amore sono state la grande Eucaristia e la visita ai rifugiati e ai malati. Il Papa irradia letteralmente gioia e compassione alla presenza di coloro che sono membra sofferenti del corpo di Cristo. La sua compassione è contagiosa. Ho ascoltato diverse persone che hanno pregato con lui e hanno sentito le loro vite trasformarsi con una fede più profonda e una capacità di amore. La sua visita ha aiutato molti leader cristiani a rinnovare la loro amicizia nel duro lavoro di preparazione e nell’euforia della celebrazione. La sua testimonianza di unità ha ricordato a tutti noi il desiderio di Cristo che siamo realmente uniti. E il suo impegno per i poveri e le persone sofferenti si spinge ad assumere con gioia i nostri impegni di fronte alla violenza e all’odio che ci circondano.

Francesco Rossi de Gasperis Gesuita, biblista, già docente al Pontificio istituto biblico di Gerusalemme
Mi ha colpito la questione posta all'essere umano da papa Francesco a Yad waShem: «Dove sei Adamo?». Yad waShem è il luogo dove è risuonata per tanto tempo l'arrogante questione posta a Dio dagli uomini, tanto noiosi con le loro innumerevoli «questioni disputate»: «Dove era Dio ad Auschwitz?». Forse papa Francesco ha pronunciato la vera risposta di Dio a quella monotona ed empia sfida umana.


© FCSF – Popoli