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Santo Sepolcro, una basilica per sei
28 marzo 2013
La basilica di Gerusalemme che custodisce le memorie della Passione e Resurrezione di Gesù è anche un luogo in cui pesano le divisioni storiche fra i cristiani. Alla vigilia della Pasqua siamo entrati in una delle chiese più suggestive (e più contese) del mondo



Nel 333 un pellegrino proveniente da Bordeaux, visitando Gerusalemme scrisse sul suo diario: «Basilica iussu Constantini facta est». È questo il più antico documento relativo alla basilica del Santo Sepolcro sino a oggi rinvenuto. Due anni più tardi, nel 335, la chiesa venne consacrata. La mappa di Madaba, un mosaico risalente al 560 d.C. e riprodotto nel cardo di Gerusalemme, ci propone la basilica così come probabilmente la vedeva il pellegrino di Burdigala (come si chiamava allora la città nella Gallia): l’entrata a scalinata con una facciata a tre arcate, ricoperta da un tetto a capanna dal soffitto laminato in oro.
Da allora numerosi interventi hanno stravolto la pianta originale del luogo sacro, ma la comunità cristiana della Città Santa ha continuato a perpetuare la memoria di quello che, si pensa, sia il luogo della Passione e Resurrezione di Gesù. Perché, come afferma padre Eugenio Alliata, archeologo francescano e direttore del museo della Flagellazione di Gerusalemme, «non c’è assoluta certezza che la tomba sia quella in cui venne deposto il corpo di Gesù dopo la crocifissione, ma identificandoci con la tradizione comunitaria che risale al IV secolo, abbiamo continuato a riconoscerla come tale».
Da allora, la basilica, la cui costruzione fu approvata da Costantino, è divenuta meta di incessanti pellegrinaggi. Oggi della chiesa d’epoca costantiniana non rimane quasi nulla, essendo stata distrutta nel 1009 dal califfo Hakim bi-Amr Allah, che pur aveva madre e sorella cristiane. L’edificio che oggi possiamo ammirare dall’esterno risale al 1041, quando l’imperatore bizantino Michele IV il Paflagone inglobò in un unico stabile la tomba, il Calvario e il luogo del ritrovamento della Santa Croce. L’interno, invece, ristrutturato a più riprese dai francescani e dai greci ortodossi, è ancora più recente: l’edicola, la struttura che ingloba la tomba di Cristo all’interno dell’anastasis, è stata ricostruita nel 1555, mentre l’attuale rotonda, che sovrasta l’edicola, è opera dell’architetto greco Nikolaos Komnenos, che compì i lavori di restauro tra il 1809 e il 1810.

GLI SPAZI DELLA PASSIONE
Ciò che impressiona maggiormente chi visita la basilica e Gerusalemme nella sua parte antica è la compressione degli spazi: i Vangeli ci hanno portato a identificare un itinerario della Passione allungato, che nella realtà è concentrato in poche centinaia di metri (dalla chiesa della Flagellazione al Santo Sepolcro, la Via Dolorosa è lunga 500 metri). Ancor più sorprendente è l’altezza del monte Calvario, che dal basamento della basilica si innalza di soli 5 metri.
Pellegrini, turisti o semplici curiosi si alternano nel percorrere i luoghi dove Gesù ha vissuto gli ultimi momenti prima di risalire nel Cielo. Di solito non si segue un percorso cronologico, ma appena varcata la soglia della basilica ci si dirige immediatamente verso la pietra dell’Unzione (in realtà una copia), dove il corpo di Gesù fu posato e lavato dopo essere stato deposto dalla croce. I fedeli si accalcano per baciare la lastra e per «ungere» di sacralità gli oggetti più disparati: sciarpe, rosari, statuine sacre, fazzoletti… A volte la folla è talmente numerosa che sorgono battibecchi e litigi.
Salendo pochi scalini si giunge nella cappella del Calvario, in cui si erge la vetta della roccia dove venne piantata la croce. Nella lastra di plexiglass che protegge lo sperone, è stato praticato un foro per permettere ai pellegrini di toccare la pietra.
Nella fretta dei tour guidati, pochi sono coloro che scendono le scale sino a raggiungere la cappella di sant’Elena e osservare, scolpite nelle pietre, le innumerevoli croci di epoca crociata. Da qui si giunge alla stanza del ritrovamento della Santa Croce, incassata nella pura roccia sotto il livello del terreno. Fu Elena, la madre di Costantino, che, secondo racconti di quasi un secolo dopo, ritrovò la reliquia. «Cirillo, vescovo di Gerusalemme - spiega padre Alliata -, a cui si deve il documento che relaziona la scoperta della Santa Croce, non sembra dare eccessiva importanza al ritrovamento, non descrive la croce, non la presenta». Un fatto singolare, visto che la croce è il simbolo del cristianesimo e, come tale, un suo ritrovamento dovrebbe aver suscitato scalpore.
La totalità dei pellegrini si dirige nell’anastasis, il cuore della basilica. Qui, stretta in una gabbia di ferro che ne ha impedito il crollo dopo un terremoto, sorge l’edicola che protegge a sua volta il sepolcro di Gesù. La fila di fedeli è continua e inizia alle 4 del mattino, quando le porte della chiesa vengono aperte. Ciò avviene secondo un rituale ben preciso, che impedisce che una sola delle Chiese cristiane che si dividono gli spazi del Santo Sepolcro si appropri della chiave. Sì, perché in questo luogo, simbolo della cristianità, convergono anche le divisioni tra le fedi che vedono nella Passione e nella Resurrezione di Cristo il punto centrale della loro dottrina.

LE DIVISIONI DEI CUSTODI
I fedeli non se ne accorgono, ma tutto ciò che ruota attorno al Santo Sepolcro è immutabile, separato e, al tempo stesso, fissato da un rigidissimo decreto, chiamato Status quo, redatto nel 1852 dal sultano ottomano per porre fine alle frequenti risse tra le varie comunità che amministravano il luogo (cfr box). Sicché armeni, greci ortodossi, latini cattolici, siriaci, copti ed etiopi hanno propri spazi che gestiscono autonomamente, ma dove nulla può essere cambiato senza l’approvazione delle altre confessioni. L’esempio più eclatante è la scala a pioli che da oltre un secolo è poggiata sul frontale superiore della basilica: dimenticata inavvertitamente dopo alcuni lavori di restauro, non si è mai deciso da chi, come e quando debba essere rimossa.
Le incomprensioni tra le Chiese, specialmente tra latini e greci ortodossi, sono chiaramente visibili: i rappresentanti delle singole fedi all’interno della basilica raramente si parlano e, ancor più difficilmente si salutano. Spesso i fedeli restano sconcertati dalla rudezza con cui vengono trattati dai preti greci ortodossi, a cui è demandato il controllo delle visite all’interno dell’edicola, mentre i rapporti tra latini e armeni sono decisamente più cordiali e distesi.
«Bisogna però evitare le semplificazioni - sostiene padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terrasanta per la Chiesa latina -. Tutto in Terrasanta procede a doppio binario: quello istituzionale e quello privato. Anche nei momenti di crisi è possibile il dialogo e questo esiste sempre, anche con chi, dall’esterno, sembra sordo a ogni richiamo».
La litigiosità esistente tra le comunità resta comunque alta: le vergognose immagini delle risse tra armeni e greci ortodossi (l’ultimo caso nel 2008) non onorano né le due Chiese, né tantomeno la religione cristiana e gettano una sorta di discredito anche su quelle fedi che cercano di tenersi fuori da queste colluttazioni. È sempre padre Pizzaballa a spiegare il «rapporto di amore-odio» che tiene vivo il dialogo con la chiesa greco ortodossa: «La storia che contraddistingue i rapporti tra noi e i greci ortodossi è unica: abbiamo sempre dovuto rivaleggiare per la custodia dei luoghi santi, ma al tempo stesso abbiamo dovuto cercare un’intesa comune che ci permettesse di difenderci dalla realtà circostante».

TEMPO PASQUALE
Durante il periodo pasquale, le processioni incessanti e continue esacerbano le tensioni: il comitato dello Status quo programma attentamente e minuziosamente ogni singolo evento per dare spazio alle diverse comunità cristiane, perché possano svolgere i propri riti senza intralciarsi a vicenda. Ogni ritardo, ogni prolungamento seppur minimo, è una scintilla che può provocare l’esplosione degli animi, già provati da settimane di preparativi e discussioni.
Anche effettuare riprese fotografiche all’interno degli spazi sacri può sollevare problemi. Pur avendo l’approvazione della Custodia di Terrasanta per fotografare gli interni della basilica usando il cavalletto, diverse volte siamo stati avvicinati da preti greci ortodossi o addirittura dagli stessi frati francescani, più preoccupati per l’intrusione nei loro spazi che per la manutenzione artistica dei beni del Santo Sepolcro: nessuno, infatti, vieta l’uso dei flash, i cui lampi di luce concentrata hanno effetti deleteri sui beni artistici.
In questi ultimi anni, infine, la situazione economica precaria del patriarcato ortodosso di Gerusalemme ha portato la Chiesa ortodossa russa a premere per subentrare in alcune attività in Terrasanta. Nonostante le difficoltà, le richieste russe sono state per ora respinte, ma Mosca continua seguire da vicino le vicende locali. Teofilo III, patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, infatti, dopo essere stato eletto nel 2005, si è trovato a far fronte a una situazione finanziaria sull’orlo del baratro e non ha ricevuto il pieno riconoscimento da Israele e Autorità palestinesi (come da consuetudine). A complicare ulteriormente la vicenda, parte del patriarcato ortodosso di Gerusalemme continua a considerare in carica il suo predecessore,  Ireneo I, già costretto alle dimissioni. Questa incertezza si ripercuote anche nei rapporti con le altre confessioni religiose, anche se, da più parti, si è evidenziata una maggiore propensione e disponibilità al dialogo da parte di Teofilo III.
Sarà proprio l’attuale patriarca, come da tradizione, a entrare a mezzogiorno del Sabato Santo nel sepolcro ermeticamente sigillato dal mattino per evitare la presenza di qualsiasi oggetto che possa innescare scintille, e ad accogliere il cosiddetto Fuoco Santo, testimonianza della resurrezione di Cristo. È la cerimonia più importante della fede ortodossa, secondo cui il Signore stesso, nel giorno della sua salita al Cielo, invia la fiamma, simbolo di vita eterna, che accende la candela del patriarca. Il fuoco di quella prima fiammella celeste verrà poi utilizzato per accendere altre candele, le quali, a loro volta, illumineranno le strade di tutta Gerusalemme. E per una volta tutti, musulmani, ebrei, cattolici, ortodossi, armeni, dimenticheranno le dispute per ammirare le pietre della città santa illuminarsi di sacralità.
Piergiorgio Pescali
© FCSF – Popoli