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Sri Lanka: il gesuita assolto, il cardinale criticato e un rapporto che scotta
6 giugno 2011
Un gesuita srilankese, padre Paul Satkunanayagam, di etnia tamil, processato insieme ad altre cinque persone con l’accusa di avere avuto legami con le Tigri tamil durante la guerra civile, è stato assolto lo scorso 24 maggio. Il gesuita era stato arrestato in febbraio e portato in giudizio il mese seguente. Padre Satkunanayagam, psicologo di 73 anni e con problemi di salute, ha lavorato a lungo a Batticaloa, nella zona nordorientale dell’isola, la più devastata dalla guerra civile, dove i gesuiti srilankesi hanno creato un centro per proteggere i bambini - appartenenti a tutti i gruppi etnici e religiosi della zona - con traumi provocati dal conflitto. La vicenda rappresenta bene la faticosa ricerca di verità e giustizia che ancora vive l’isola. Si sono appena concluse le lunghe celebrazioni per il secondo anniversario della fine della guerra civile (maggio 2009), ma intere regioni dell’isola sono ancora segnate dal trentennio di scontri che hanno causato più di 80mila morti e dalle violenze brutali dell’ultima fase del conflitto. Il presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, ha ricordato l’annientamento del nemico interno, le Tigri tamil, risultato grazie al quale gode ancora di un vasto sostegno popolare, soprattutto tra la maggioranza cingalese, ma le ombre su quella vittoria si allungano. Il governo di Colombo è stato messo sotto accusa da un rapporto dell’Onu che in aprile ha accusato le forze regolari di violazioni dei diritti umani durante l’offensiva finale della guerra. Il presidente difende le forze armate e nega il contenuto del rapporto, ma questo non favorisce la riconciliazione. Le regioni a maggioranza tamil, nel nord del Paese, sono ancora segnate da ferite profonde, per le violenze subite allora e per le carenti politiche di aiuto a chi ha perso tutto. I tamil non credono in un vero desiderio del governo di favorire una riconciliazione nazionale. L’agenzia Misna riferisce ad esempio di ostacoli frapposti dalle autorità alle celebrazioni comunitarie di rito indù, la religione dei tamil, in memoria delle vittime della guerra. Clamorosa è la lettera che gruppi di cristiani del nord dell’isola hanno inviato alla fine di aprile al cardinale di Colombo, Malcom Ranjith. Nel documento – che non è stato pubblicato ma di cui Popoli.info è entrato in possesso - sollevano dure critiche contro la difesa che l’arcivescovo ha fatto del governo in un’intervista al Catholic news service, interpretabile come posizione ufficiale della Chiesa cattolica. Il cardinale Ranjith ha stroncato il rapporto dell’Onu, definendolo una cospirazione contro il Paese da parte di coloro che non accettano la vittoria dello Sri Lanka sul terrorismo. Ma, per i firmatari della lettera (tra cui preti e suore), è impossibile negare che migliaia di civili innocenti siano stati uccisi dalle forze di sicurezza dopo essere stati radunati in determinate aree con la promessa della protezione. L’indagine dell’Onu da un lato mette in luce le atrocità dei ribelli delle Tigri tamil, che avrebbero usato oltre 330mila persone come scudi umani, dall’altra quelle dell’esercito che avrebbe ucciso la maggior parte dei settemila civili morti nelle ultime fasi della guerra. Eventuali responsabilità potrebbero essere oggetto di indagini della Corte penale internazionale. Il governo ha istituito la Lessons Learnt and Reconciliation Commission (Llrc), invece di aprire le porte a una vera commissione internazionale di inchiesta sui crimini di guerra. Amnesty International, come il rapporto dell’Onu, dubita che la commissione sia imparziale. Amnesty inoltre ha invitato i governi stranieri a esercitare la giurisdizione universale per perseguire i crimini identificati nel rapporto. Un’inchiesta internazionale, anche sulle violazioni commesse dalle Tigri tamil, potrebbe favorire la riconciliazione nell’isola.
Francesco Pistocchini
© FCSF – Popoli