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Tassare la finanza, questione di giustizia
27 gennaio 2012

Cresce il favore nei confronti di una tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf, impropriamente chiamata anche Tobin Tax), sia nell’opinione pubblica sia tra gli economisti. Del resto, nel mondo dei mercati finanziari internazionali viviamo come nel Far West prima dell’arrivo della legge: c’è un bisogno fondamentale di mettere regole alla finanza, perché è stata sprecata una quantità immensa di denaro nella necessità di salvare le banche, soldi che sarebbero teoricamente bastati per risolvere i problemi dell’istruzione obbligatoria o della malnutrizione nel mondo.
Studi scientifici dimostrano che negli ultimi vent’anni il rapporto positivo e consolidato tra la crescita del mercato finanziario e quella dell’economia si è interrotto e si è registrata una relazione negativa tra la crescita dei derivati Otc - prodotti finanziari quotati nei mercati non regolamentati - e il finanziamento delle banche alle imprese.
Occorre perciò ristabilire un primato della politica e dell’economia reale sulla finanza. Nella tempesta della crisi finanziaria il consenso nelle opinioni pubbliche europee per la Ttf si è esteso. L’Ocse, l’organizzazione economica che riunisce i Paesi occidentali, in uno studio uscito in gennaio parla dei problemi creati sui mercati finanziari dalle speculazioni sui derivati e proprio sui derivati propone l’applicazione di una tassa. A livello di governi, Francia e Germania, si sono espresse a favore, con la volontà della Francia di procedere, se necessario, anche in modo unilaterale.
Finora l’obiezione principale alla Ttf è stata che la sua introduzione comporterebbe una fuga di capitali. Funzionerebbe, perciò, solo nel caso (assai improbabile) in cui venisse applicata a livello globale. In realtà è falso: questo tipo di tassa esiste già in una ventina di Paesi che la applicano in modo unilaterale. Hong Kong, Sudafrica e Brasile hanno posto regolamentazioni e neppure in Cina e in India la circolazione dei capitali a breve termine è completamente libera. Solo l’Occidente è rimasto una «prateria» dove le scorribande della speculazione finanziaria non trovano ostacoli. Il Paese con la tassa più alta di questo tipo è il Regno Unito che applica la Duty Stamp Tax (0,05% sulle azioni della borsa di Londra). Questa consente di raccogliere 5 miliardi di sterline all’anno. Se applicata a livello di Ue, secondo la Commissione darebbe circa 50 miliardi di euro all’anno di introiti che potrebbero migliorare i servizi pubblici, lo stato dell’ambiente o la coesione sociale.
Ma esiste un secondo risultato che può dare la Ttf: frenare in modo forte le operazioni di trading ad alta frequenza realizzate da alcuni intermediari che effettuano migliaia di operazioni in breve tempo influenzando i mercati, con le conseguenze che conosciamo.
Quasi 10mila miliardi di dollari in tre anni sono stati impiegati per salvare le banche: fondi che hanno aggravato i debiti di molti Paesi. Se la crisi attuale nasce da errori commessi a partire dalle grandi banche Usa, questi errori sono stati poi pagati dagli Stati e quindi dai contribuenti. Una parte del mondo finanziario ha privatizzato i profitti, socializzato le perdite e successivamente utilizzato i fondi pubblici impiegati per il proprio salvataggio per scommettere contro gli stessi salvatori.
Come denuncia l’Ocse, i problemi sono ancora in piedi e c’è il rischio che scoppino altre bolle. Quindi la posta in gioco è anche fare in modo che queste crisi non si ripetano. La Ttf può rappresentare una tappa importante nel riequilibrio dei rapporti tra istituzioni e finanza. Se un insegnante di scuola deve lavorare 4.500 anni per guadagnare come faceva in un anno l’amministratore delegato di Lehman Brothers, esiste una questione di giustizia.

Leonardo Becchetti

Ordinario di Economia politica all’Università di Roma «Tor Vergata», presidente del Comitato etico di Banca popolare etica, della Cvx-Italia e della Lega Missionaria Studenti

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