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Violenze sessuali in Africa, una battaglia culturale
23/10/2014
L’Unione europea ha assegnato ieri il Premio Sacharov a Denis Mukwege, 59 anni, medico che ha curato e assistito migliaia di donne, uomini e bambini vittime di violenza sessuale nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo. Un riconoscimento importante a un personaggio che da anni svolge, in silenzio e rischiando la vita, un’opera delicatissima per restituire non solo la salute, ma anche la dignità a persone violate nel corpo e nell’anima. «Le donne vittime di violenza sessuale sono disonorate - ha detto il medico in un discorso che ha tenuto alle Nazioni unite nel 2012 -. Vedo costantemente con i miei occhi le anziane, le giovani, le madri e persino le bambine disonorate. Ancora oggi molte sono schiave sessuali. Altre sono usate come armi di guerra. I loro organi subiscono i trattamenti più aberranti».

Il fenomeno degli abusi sessuali è molto diffuso in Africa, non solo in Rcd. Secondo una stima delle Nazioni Unite, ogni anno almeno 500mila persone subiscono violenza. Ne abbiamo parlato con Valeria Pecchioni, un’operatrice del Ccm (Comitato Collaborazione Medica), una Ong di Torino che lavora in Burundi a un progetto per la lotta alla violenza sessuale.

In Burundi è molto diffusa la pratica degli stupri?
Durante le diverse fasi del conflitto che ha interessato il Paese negli anni Novanta, lo stupro di guerra è stato diffusamente utilizzato come una vera e propria arma. In questo il Burundi non si è differenziato dalla vicina Repubblica Democratica del Congo e dal Ruanda. E proprio come in quei Paesi il fenomeno persiste anche oggi. Si stima infatti che una donna su 10 e un uomo su 200 siano colpiti dal problema. Di essi, il 60% sono minori e il 24% hanno meno di 11 anni. La violenza avviene nella maggior parte dei casi in ambito familiare. Intendendo come famiglia il nucleo allargato africano del quale fanno parte nonni, zii, cugini, ma anche i vicini di casa e, spesso, gli amici.

Il clima di violenza creato dalla guerra civile è una delle cause scatenanti di questo fenomeno?
Non direi che è una causa scatenante ma, piuttosto, un’aggravante. Nella diffusione delle violenze sessuali giocano altri fattori. Tra questi metterei la povertà, ma anche il senso di impunità dei colpevoli e una concezione della donna vista non come vittima, ma come «provocatrice», «tentatrice». Sulle donne violentate grava quindi uno stigma sociale molto forte. Spesso questo le porta a non denunciare gli abusi e a esserne nuovamente vittime. Su questa omertà fanno conto i violentatori, che rimangono impuniti per i loro crimini.

Fattori che sono comuni ad altri Paesi africani e che si combattono attraverso un lungo lavoro sul piano culturale...
Stiamo parlando dell’Africa, ma molti di questi comportamenti sono diffusi anche in Europa e anche in Italia. Il lavoro deve certamente concentrarsi su un piano culturale. Il nostro progetto prevede tre fasi. La prima è un’opera di sensibilizzazione attraverso teatro, cinema e dialoghi comunitari nei quali cerchiamo di riflettere e discutere del problema. In secondo luogo, lavoriamo per rafforzare i servizi sociali e sanitari offerti alle vittime. Infine siamo impegnati in percorsi di formazione sia degli operatori sociosanitari sia dell’apparato di sicurezza (poliziotti e personale giudiziario).
Enrico Casale

© FCSF – Popoli