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«Il Libano è un messaggio di libertà, il papa ci aiuterà a difenderlo»
12 settembre 2012

Venerdì 14 settembre Benedetto XVI inizia il suo viaggio a Beirut, secondo papa nell’età moderna, dopo Giovanni Paolo II che visitò il Libano nel 1997. Anche questa visita di Benedetto XVI è particolarmente delicata, sia per la complessità del panorama religioso libanese, sia per le trasformazioni che toccano tutto il mondo arabo. I bombardamenti di Damasco sono solo a un centinaio di chilometri da Beirut. Così la visita assume un significato per l’intera regione: nell’Angelus di domenica 9 settembre il papa, definendo il prossimo viaggio «un segno della pace», ha parlato anche di «sguardo esteso a tutto il Medio Oriente». Durante la visita, infatti, consegnerà l’esortazione che raccoglie le conclusioni del Sinodo per il Medio oriente che si è svolto a Roma nel 2010. L’attesa in Libano è grande, come spiega a Popoli.info padre Salim Daccache, gesuita e da un mese rettore dell’Università Saint-Joseph (Usj) di Beirut.

«L’importanza di questa visita si rispecchia in tre aspettative - spiega padre Daccache -. La prima deriva dal fatto che il papa venga in Libano, a toccare il cuore del mondo arabo. Il fatto stesso costituisce un messaggio di pace, ma anche di dialogo e di confronto tra le civiltà e le religioni. Una seconda riguarda tutti i libanesi, cristiani e musulmani: significa che, per la Santa Sede e i cristiani di tutto il mondo, il Libano è più di un Paese, è un messaggio di pluralità e di libertà - libertà di culto, di parola e soprattutto di coscienza. La stessa Costituzione libanese insiste sulla libertà di ognuno nelle proprie scelte religiose e morali. È importante confermare l’identità del Libano in questa sua missione. Infine la terza aspettativa riguarda i cristiani. È importante rincuorarli nel desiderio di restare radicati in questa terra, dove siamo attivi in tutti i campi della vita pubblica. Una parola di speranza del papa, in una fase così agitata per tutto il mondo arabo, ci tocca da vicino. È il messaggio di Giovanni Paolo II, o meglio della Bibbia: non abbiate paura, continuate a testimoniare e a vivere dove vi trovate, non vendete le vostre terre, non lasciate il vostro Paese, i luoghi dove è nato il cristianesimo. L’emigrazione è un problema cruciale per le comunità cristiane del mondo arabo».

Una visita papale in Libano acquista subito un valore politico, sia per gli equilibri interni del Paese, sia per quelli regionali. «Venendo in Libano - osserva il rettore della Usj, che è più grande università cattolica nei Paesi arabi - il papa si cala in una dimensione “politica” nel senso che la religione qui è sempre politicizzata. Con le Primavere arabe si sono ascoltate nuove parole d’ordine, nuovi impegni, appelli alla democrazia, all’uguaglianza. Anche la celebre Università Al-Azhar del Cairo, che è il riferimento accademico e spirituale per i musulmani sunniti di tutto il mondo, ha parlato di uno Stato che distingue la sfera religiosa dalla sfera civile nella vita pubblica. È qualcosa di nuovo, di audace. Credo che il papa nella sua esortazione dirà a noi cristiani e anche ai musulmani che queste parole non posso restare sulla carta, ma bisogna passare ai fatti. Interpellerà noi cristiani a impegnarci per un mondo in cui ci sia più giustizia e più uguaglianza, meno violenza e corruzione».

Ci sono gruppi che giudicano negativamente questo viaggio? «Alcuni cristiani, più indifferenti alla religione, si domandano a che cosa serva il viaggio, se non a destabilizzare il Paese per qualche giorno senza risultati concreti. In ambito musulmano ci sono gruppi minoritari salafiti, che in Libano fortunatamente non sono armati e non mettono in discussione i fondamenti dello Stato. Questi hanno espresso il loro scontento per la visita ritenendo che la presenza del papa serva a promuovere le conversioni al cristianesimo. Questo è un tema delicato anche tra i musulmani moderati, perché esistono atteggiamenti di proselitismo propugnati dagli evangelici e che creano imbarazzi. Offrono l’occasione agli estremisti per accusare i cristiani di voler occidentalizzare gli altri».

Al momento nel governo tutti i partiti si sono messi d’accordo perché non ci sia un allargamento della crisi siriana al Libano. Finora il Libano non è stato travolto, ma la situazione è sempre fragile. «Senz’altro la visita del papa - conclude padre Daccache - rafforza la statura del Libano come Stato, come entità capace di gestire gli affari interni ed esteri e di proteggere la vita delle persone».

Francesco Pistocchini

© FCSF – Popoli