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A Rio due summit per la Terra
18 giugno 2012

Si apre il 20 giugno a Rio de Janeiro la Conferenza dell’Onu sullo sviluppo sostenibile a vent’anni dal primo Vertice della Terra del 1992 tenuto nella città brasiliana (per questo è chiamato Rio +20) e a dieci dal Summit sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg (2002). L’Onu riconvoca i rappresentanti dei governi, ma l’occasione richiama anche Ong, scienziati, sindacalisti, imprenditori, esponenti della società civile e delle religioni per discutere di ambiente e sviluppo, green economy, lotta alla povertà. Insomma, del destino del pianeta. Per questo si è aperto il 15 giugno e proseguirà in parallelo con il vertice ufficiale la Cúpula dos Povos (Vertice dei popoli), che raccoglie a Rio circa 15mila persone in uno spazio di denuncia e di proposta a cui partecipa anche una delegazione di gesuiti latinoamericani impegnati nell’ecologia e per lo sviluppo sostenibile. Alcuni di essi parteciperanno anche al summit ufficiale. La Chiesa brasiliana a ogni livello contribuisce alle riflessioni e ai dibattiti.
Secondo il Rapporto di Living Planet, dal 1996 a oggi la domanda di risorse naturali è raddoppiata. Urbanizzazione, crescita demografica, dei consumi di energia e di acqua dolce, emissioni di CO2, biodiversità sotto pressione sono tali per cui la Terra, continuando con i trend attuali, nel 2030 impiegherà due anni per rigenerare le risorse consumate in un anno soltanto.
Anche se cade in un periodo in cui l’attenzione dell’Occidente è rivolta alla crisi finanziaria, e gli Usa e la Cina si avvicinano (pur in modi del tutto diversi) al rinnovo delle loro leadership, Rio +20 resta un appuntamento chiave per lo sviluppo della cooperazione internazionale. La bozza di accordo ha ancora molti punti deboli, dovuti soprattutto alle decisioni di Usa e Cina di limitarne la portata. Il round finale dei negoziati si muoverà intorno al miglioramento della sicurezza energetica, idrica e alimentare nei Paesi poveri, alla riduzione dei sussidi per i combustibili fossili e a una migliore protezione degli oceani. Ma il consenso finora si è costruito solo intorno a un quinto dei temi sul tappeto. Negli anni sono stati siglati circa 500 accordi ambientali internazionali, ma spesso c’è carenza di informazione, efficienza ed equità nel suddividere i sacrifici richiesti.
«Che cosa si è raggiunto in vent’anni?», si chiede Johannes Müller, gesuita tedesco, docente di politiche dello sviluppo a Monaco di Baviera. «I risultati sono ambigui. Senza Summit della Terra la situazione sarebbe senz’altro peggiore. Le convenzioni quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici, la biodiversità e contro la desertificazione sono stati risultati importanti. Ma le misure che vengono prese sono spesso incerte, nel migliore dei casi, così la minaccia di un collasso ecologico del pianeta non è scongiurata». Secondo padre Müller, due saranno i temi centrali del Vertice: green economy e un sistema istituzionale efficace per lo «sviluppo sostenibile».
Ma manca ancora un consenso internazionale su che cosa significhi in concreto green economy. I gesuiti coinvolti in Rio +20 sostengono un nuovo paradigma di sviluppo, sottolineano cioè la necessità di combinare il programma del Vertice con l’obiettivo di alleviare la povertà e consentire ai Paesi in via di sviluppo di partecipare ai negoziati in modo adeguato. Spingere per i cambiamenti dal basso significa dare forza alla società civile, all’economia e alle Ong perché diventino attori influenti. «E le religioni - aggiunge Johannes Müller - con il loro ricco bagaglio, possono contribuire in modo significativo, sia con l’annuncio sia come pionieri nelle azioni concrete».
Per questo il Vertice dei popoli può dire molto al Summit dei governi. Come auspica Rui Varres, portavoce del Movimento dei senza terra (Mst), potrebbe diventare una «piazza Tahrir» della crisi ambientale globale.
Aggiornamenti sul Vertice sono disponibili sul sito della rete Ecojesuit.

Francesco Pistocchini

© FCSF – Popoli