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Arabia Saudita, riscatto rosa nella blogosfera
12 dicembre 2011
Venti-trentenni sul web intrecciano il nome di Dio al racconto delle loro avventure amorose rivelando minuziosi dettagli di una vita che ai più resta celata dietro l’austera abaja, il mantello nero che copre il corpo delle donne da capo a piedi. Oppure mamme che in rete, dietro a pseudonimi fantasiosi, si battono per i diritti civili mentre in pubblico di sesso non vogliono parlare. Le blogger saudite sono donne - forse oggi la metà più dinamica di questa società - che hanno deciso di liberare i propri pensieri e che, nell’ultraconservatore Paese del Golfo, riescono a farlo solo sul web. Tra le pagine di diari virtuali descrivono le loro vite, aspirazioni, difficoltà, lasciandosi andare al sogno di una vita diversa.
Si tratta del motore di un cambiamento silenzioso, probabilmente irreversibile, che negli ultimi dieci anni ha investito il regno saudita, primo produttore di petrolio al mondo, in cui gli abitanti godono solo da qualche decennio di un tenore di vita altissimo.
Nel regno in cui è nato il profeta Muhammad e che oggi è nelle mani dell’87enne re Abdullah, la vita quotidiana resta ancora rigidamente condizionata dalla dottrina wahabita, interpretazione fondamentalista del Corano: da una parte ci sono gli uomini e dall’altra le donne, in bilico fra doppie università, doppie redazioni di giornali, ma anche ingressi separati negli uffici e nei ristoranti.
Sono l’accesso alle Tv satellitari e a internet, una timida apertura verso il turismo, gli scambi economici e universitari che da alcuni anni hanno messo in circolazione nuove idee nella società. Resta il divieto di organizzare manifestazioni pubbliche, riunirsi in partiti politici o associazioni per i diritti. E quindi, nell’attesa di poter scendere in piazza, è l’«agorà virtuale» a fornire terreno fertile per il dibattito, anche se l’Arabia resta uno dei dieci luoghi peggiori al mondo dove tenere un blog.

RIFORMISTI E TRADIZIONALISTI
Naturalmente non si tratta solo di donne. E nemmeno soltanto di blog. Ci sono maschi e femmine, e poi Twitter, YouTube e Facebook su cui è iniziata una battaglia fra riformisti e tradizionalisti.
Saudi Jeans, al secolo Ahmed Omran, forse il più noto blogger saudita, è oggi un commentatore assiduo dell’attualità nazionale per canali internazionali come la Bbc e la Cnn. Da Washington, dove si è trasferito da qualche mese per lavoro, ci conferma che «senza dubbio internet gioca un ruolo importante nella lotta per ottenere maggiori diritti e democrazia in Arabia Saudita. L’esempio (o il successo, ndr) più recente è la decisione del sovrano di concedere alle donne il diritto di votare e candidarsi alle prossime elezioni locali. Molti osservatori credono che questo sia stato il risultato della campagna lanciata dalle donne per ottenere il diritto a guidare l’automobile che va avanti da giugno».
È molto determinata l’autrice di Saudiwoman, al secolo Eman Al Nafjan, una giovane di Riad poco più che trentenne con tre figli e un dottorato. Ha aperto un blog perché non ne poteva più di leggere opinioni degli esperti non arabi sulla vita e la cultura del suo Paese. Con i suoi post combatte l’islamofobia e si batte per i diritti umani e il movimento di emancipazione femminile.
Sotto lo pseudonimo di Princess Laylah scrive invece sul blog Blue Abaya una donna di origine scandinava che si è trasferita alcuni anni fa in Arabia, dove si è poi convertita all’islam e ha sposato un uomo del posto. Intervistata via email spiega: «Aumentano le donne che scrivono in inglese. Molte di loro sono occidentali sposate a sauditi, ma è vero anche che ci sono più donne saudite che uomini capaci di scrivere in inglese». Tra gli iscritti alle università la percentuale delle donne supera quella dei maschi. «Io ho iniziato semplicemente perché volevo condividere alcuni pensieri con i miei amici e la mia famiglia - continua l’autrice di Blue Abaya -. Non mi sarei mai immaginata che il mio blog avrebbe ottenuto tanto successo. Noto che la gente è molto interessata al mio punto di vista su ciò che accade in Arabia Saudita». Blue Abaya infatti è tra i più seguiti: affronta in maniera ironica e acuta temi legati a usi e costumi degli stranieri che si adattano a quelli sauditi e viceversa. Un esempio è un recente post su Halloween.
Il caso di questa blogger straniera non è isolato. Seguitissima è stata anche Carol Fleming, americana autrice di AmericanBedu. «Ho iniziato per tenere la mia famiglia informata su quanto mi stava accadendo in Arabia Saudita. Su loro insistenza ho aperto il mio diario online al mondo e così ho potuto condividere prospettive, esperienze della cultura saudita, delle sue tradizioni e usi», ci racconta. Oggi, per motivi di salute, Carol ha lasciato il Paese dove - dice - non farà più ritorno. Ma resta in contatto con le sue amiche saudite che ancora non trovano spazi pubblici di espressione personale. E allora non resta che scrivere sul web, social network in testa. «Credo che siano i social media a favorire la democrazia nel regno.

CYBERATTIVISTI PRESI DI MIRA
MagicKingdom offriva una panoramica - davvero necessaria - della scena culturale e artistica del Paese, ma si è estinto negli ultimi anni (l’ultimo post al consueto indirizzo è del 2006) con l’esplosione dei social network. Gli autori ora preferiscono usare Twitter, come Mashi97 (@mashi97), un altro significativo esempio di blogger diventato molto popolare grazie alla propria schiettezza e capacità di arrivare direttamente al punto.
Nonostante tutta questa attività, in Arabia Saudita la vita del «cyberattivista» non è semplice. C’è la censura di Stato nei confronti di quelli che producono contenuti considerati nocivi all’immagine del Paese. Esiste l’autocensura più o meno inconsciamente praticata da chi non vuole finire nei guai. Ci sono leader religiosi conservatori che attaccano i contenuti di alcuni blog accusandoli di eresia. E così scattano gli arresti: dal blog di Saudi Jeans si scopre che in ottobre due attivisti, Feras Boqnah e Hosam al-Deraiwish, sono stati imprigionati dalla polizia di Riad per aver pubblicato su YouTube un video che aveva come tema la povertà nella capitale (il 17 ottobre era la giornata internazionale per la lotta alla povertà). La notizia si è diffusa su Twitter con l’hashtag #Mal3ob3lena e gli utenti hanno postato oltre 17mila messaggi di sostegno in meno di 24 ore.
La recente campagna Let Her Drive (Lasciala guidare - condotta in particolare su Facebook e YouTube, ndr) di recente ha catalizzato l’attenzione dei media internazionali. Ultimamente si è tenuta anche una campagna per produrre video destinati alla rete che parlino di cancro al seno, argomento che solo cinque anni fa era tabù.
«Credo che internet riuscirà a spingere il Paese verso la democrazia solo nella misura in cui sarà davvero capace di aprire la mente dei suoi cittadini - ci spiega Laylah -. Ora Twitter è molto usato in Arabia Saudita e serve ad affrontare anche questioni di attualità». Fra gli indirizzi più popolari c’è @azizshalan, che ha ben 36mila followers e «twitta» in arabo e inglese da Gedda. Ma il più noto è forse @farhan, al secolo Fouad al Farhan, che si occupa di politica, società e imprenditoria. Il caricaturista @nejer, al secolo Malik Nejer, usa Twitter per condividere i suoi lavori recenti e commentare questioni sociali e politiche. Laylah, però, avverte: «Ci sono anche sceicchi molto conservatori che hanno un account su Twitter. In questo caso si può parlare di un contro-movimento. Alcuni di loro hanno migliaia di fan. Ciò dimostra che in Arabia Saudita il pensiero conservatore e retrogrado è ancora molto forte».
Elisa Pierandrei

© FCSF – Popoli