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Artisti la repressione continua
16 dicembre 2013
La Rivoluzione dei gelsomini aveva suscitato grande entusiasmo e grandi speranze negli ambienti artistici tunisini. La caduta del regime di Zine El-Abidine Ben Ali faceva sperare in una nuova stagione senza censure. Così non è stato. Negli anni successivi alla rivolta sono proseguiti arresti, intimidazioni, processi nei confronti di blogger, musicisti, vignettisti, registi, ecc. Alcuni artisti puntano il dito contro il clima repressivo instaurato dal partito islamico al potere. Altri contro il sistema legislativo e burocratico che non è cambiato dai tempi di Ben Ali.

«Sotto il regime - spiega un giovane vignettista che vuole mantenere l’anonimato per ragioni di sicurezza - l’accusa di diffamazione o di turbamento dell’ordine pubblico sarebbe stata sufficiente per sbattermi dietro le sbarre. Una blogger nel 2009 per poco non si prendeva tre anni di prigione perché aveva usato due dei miei disegni sul suo blog. È stata rilasciata quando il giudice ha capito che i disegni non li aveva fatti lei». Un regime duro, che controllava ogni forma di espressione. «Ai tempi di Ben Ali - ricorda Dera Nejib, regista, arrestato in settembre per i suoi film-denuncia contro il governo - io facevo parte del sindacato degli studenti. Come molti altri attivisti ero controllato dalle forze dell’ordine che mi arrestavano periodicamente. Mi avevano anche tolto il passaporto».

POLITICA INTOLLERANTE
La rivolta
aveva lanciato parole d’ordine chiare: libertà, giustizia e dignità. Le aspettative erano grandi, ma sono andate presto deluse. «Certo - continua Nejib -, formalmente abbiamo libertà di parola, spazi di espressione e possibilità di aggregazione. Ma quella della democrazia è una sfida ancora tutta da giocare».

Una sfida che va affrontata anche confrontandosi con un islamismo che in questi tre anni ha occupato molti spazi sia nella politica, sia nella società. «Gli islamici al potere - osserva il vignettista - non hanno mai attaccato direttamente gli artisti, però hanno creato un clima nel quale sono cresciuti “mostri” ostili a tutte le forme di libertà: artistica, culturale, sessuale». Ma Dera Nejib punta il dito anche verso tutta la classe politica e la struttura repressiva delle forze dell’ordine. Un articolato sistema di potere insofferente a ogni forma di critica. «Ci sono stati numerosi processi contro artisti - gli fa eco il vignettista -. Ci dicono che la giustizia fa il suo corso e che l’esecutivo non deve occuparsene.

Nonostante questo, sappiamo, per esempio, che dietro la sentenza che ha condannato il blogger Jabeur Mejri a sette anni di prigione per blasfemia, c’è la volontà politica degli islamisti di perseguire con maggiore durezza questo reato. In quest’ottica, il governo islamico può essere visto come una minaccia alla libertà di espressione. Ma va detto anche che, già in passato, ai tempi di Ben Ali, la blasfemia, pur non essendo prevista dal codice penale, poteva essere fatta rientrare nel reato di turbamento dell’ordine pubblico».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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