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Tunisia, i gelsomini tre anni dopo
16 dicembre 2013
Sono trascorsi tre anni da quel 17 dicembre 2010 quando Mohamed Bouazizi, un giovane tunisino, si dava fuoco in segno di protesta contro la polizia che gli aveva sequestrato la merce. Quel gesto estremo ha dato vita al movimento delle Primavere arabe che si è poi diffuso nel Nord Africa e in Medio Oriente. Ma perché la rivolta si è accesa proprio in Tunisia? E che cosa è rimasto delle istanze che hanno portato alla caduta di regimi decennali?

«Non c’è una ragione particolare per cui la rivoluzione sia scoppiata prima in Tunisia che in altri Paesi - spiega Massimo Campanini, storico del Medio oriente arabo e della filosofia islamica -. In Tunisia, forse, ha influito la minore ingerenza delle forze armate in campo politico. Aspetto che ha contato molto in Egitto. Credo che i motivi dello scoppio della rivolta siano essenzialmente tre: la crisi economica che ha impoverito la classe media, il rifiuto di un regime sempre più predatorio e la nascita di una società civile che rivendicava la propria dignità». Ed è proprio sul ruolo da protagonista della società civile che insiste Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano: «A parità di problemi socioeconomici, trasversali ai Paesi arabi, la Tunisia vanta un forte dinamismo della società civile (associazioni, sindacati, ecc.) che non si limita più a rivendicare piccole riforme, ma una completa trasformazione in senso democratico del Paese».

LA COMPLESSA TRANSIZIONE
Una trasformazione che però tarda ad arrivare. L’assemblea costituente non ha ancora approvato la nuova Carta fondamentale e non sono state introdotte profonde riforme economiche. «Ennahda, il partito di orientamento islamico che ha vinto le elezioni - osserva Torelli - non aveva i numeri per governare da solo. Si è formata quindi una coalizione nella quale i condizionamenti reciproci non hanno ancora permesso di elaborare la Carta fondamentale. Anche Ennahda ha non pochi problemi al suo interno. Da una parte c’è una corrente più dialogante con il movimento laico. Dall’altra, una fazione più intransigente e meno disposta al confronto. Per ora il leader carismatico Rachid Gannouchi è riuscito a tenere in mano il partito, ma fino a quando?».

Ennahda è infatti stretta tra partiti e movimenti secolari che si stanno riorganizzando e l’islam radicale rappresentato dai gruppi salafiti. «Nel 2012 - continua Torelli - è nata Nidaa Tounes, un’organizzazione-ombrello che unisce diverse anime laiche. È guidata da Béji Caïd Essebsi, un ex ministro di Ben Ali. Un politico che, nonostante i suoi 87 anni, è ancora potente e in grado di spostare consensi. Inoltre Nidaa Tounes è formata da uomini dell’ex regime. Sono personaggi che, nonostante la Tunisia stia cambiando, controllano gran parte di quell’apparato pubblico così importante ai fini elettorali».

I salafiti invece sono un movimento complesso e che, in gran parte, rifiuta il processo democratico. La formazione più importante, Ansar al-Sharia (recentemente messa fuorilegge), ha concentrato le sue battaglie in campo sociale offrendo aiuto alle fasce disagiate delle periferie, ma non ha mai allontanato le frange più estreme. «Nell’ambito salafita - sottolinea Campanini - sono attive alcune fazioni jihadiste. Forse è in quel contesto, più che in Ennahda, che andrebbero cercati gli assassini di Chokri Belaïd e Mohamed Bhrami, i due attivisti laici uccisi quest’anno». Un jihadismo dal quale nascono anche fenomeni terroristici, come dimostrano i numerosi attentati che da aprile hanno reso incandescente la frontiera con l’Algeria.

In questo contesto, i protagonisti della rivolta di tre anni fa, cioè i giovani, si stanno allontanando progressivamente dalla politica. Già nelle elezioni per la costituente che si sono tenute nel 2011 solo il 17% dei giovani tra i 18 e i 35 anni ha votato. «Tra i ragazzi - conclude Torelli - c’è sfiducia nei partiti. Per questo motivo, molti di loro si impegnano a livello sociale, tramite l’associazionismo, piuttosto che voler direttamente entrare in politica».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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