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Australia, naufragare a Natale
16 dicembre 2010
Natale - o Christmas, come la chiamano gli australiani che ne sono i padroni - è un’isoletta di 135 kmq nell’Oceano indiano, più vicina all’Indonesia (450 km) che all’Australia stessa (circa 2.000 km). Vicino alle sue coste, il 15 dicembre, hanno fatto naufragio alcune decine di rifugiati che cercavano di raggiungere l’isola, stipati su un’imbarcazione di legno che la forza delle onde ha fatto schiantare sulle scogliere alte fino a dieci metri. Secondo le autorità australiane, almeno 27 persone sono annegate mentre 41 sono state tratte in salvo, ma non si sa esattamente quanti fossero a bordo. Dalle scogliere i testimoni hanno assistito allo scenario di uomini, donne e bambini annegati o sbattuti contro gli scogli, senza potere fare molto di più che lanciare giubbotti salvagente. I tentativi di soccorso con altre imbarcazioni si sono dimostrati impossibili per la violenza delle onde.
I naufraghi, salpati dall’Indonesia, sono probabilmente originari dell’Iran e dell’Iraq. Da più di vent’anni barche e zattere cariche di richiedenti asilo partono da Giava per raggiungere l’isola. Solo nel 2010 ne sono arrivate 130. Essendo il lembo di territorio australiano più facilmente raggiungibile dal Sud-est asiatico, Christmas è sempre stato un approdo ambito dai rifugiati dell’Asia che vogliono chiedere protezione all’Australia. Un flusso che in passato il governo conservatore di John Howard (al potere a Canberra dal 1996 al 2007) ha cercato di fermare modificando la legge e impedendo di fare domanda di asilo sull’isola. Ma gli sbarchi sono continuati e chi arriva viene rinchiuso in grandi centri di detenzione.
Anche in Australia gli sbarchi sono un tema caldo: i laburisti al governo propongono di gestire i rifugiati da Timor Est, per impedire le pericolose traversate; i conservatori continuano a ripetere lo slogan «Stop agli sbarchi».
Chris Jenkins, un gesuita australiano che ha visitato Christmas, racconta come l’isola colpisca per la natura tropicale e i granchi rossi per cui è famosa. «Ma sono certo che saranno le persone e le loro storie che ricorderò per sempre - aggiunge -. Ci sono circa 2.500 persone scappate dalle guerre come quelle in Afghanistan e Sri Lanka o da situazioni di oppressione e discriminazione. Ci sono anche minorenni soli». Padre Jenkins riconosce il coraggio di queste persone che hanno affrontato la traversata in mare aperto, una tappa di un viaggio lungo migliaia di chilometri.
Maureen Lohrey, una suora che collabora con il Jrs e ha prestato servizio sull’isola, racconta la storia di un afghano della minoranza perseguitata degli hazara. Il percorso che ha compiuto per arrivare a Christmas è incredibile: dal nord dell’Afghanistan ha raggiunto Kabul, è volato a Dubai e poi in Laos. Ha proseguito via terra verso Bangkok per raggiungere la Malaysia. Ha preso una barca per l’Indonesia e un’altra per raggiungere Christmas. Un viaggio di oltre quattro mesi pieno di pericoli per il quale ha chiesto in prestito denaro. Se non lo restituirà, la famiglia a casa rischia di essere uccisa.
Il problema principale sull’isola è il sovraffollamento. Le tensioni possono sempre esplodere tra gente che ha osato tanto per sé e per le famiglie rimaste in patria, che resta bloccata mesi prima di potere spiegare la propria situazione ai famigliari e disegnare scenari per il futuro. «Nei centri di detenzione, nella noia dell’attesa, sono importanti gli incontri e le celebrazioni - spiega Chris Jenkins -. Abbiamo celebrato una messa per i bambini di una famiglia tamil, uccisi proprio nei giorni finali della guerra in Sri Lanka. La Chiesa era piena di cristiani e hindu che si sono stretti intorno ai genitori».
Un richiedente asilo ha scritto all’ex primo ministro australiano, Kevin Rudd: «Il nostro viaggio attraverso l’oceano è stato pieno di pericoli e molte imbarcazioni insicure sono andate disperse. Chiedere asilo a un Paese straniero è un passo che non si fa a cuor leggero, abbiamo lasciato indietro i nostri cari, impegnato tutti i beni per un viaggio dal futuro incerto, senza alcuna garanzia». Ma gli arrivi continuano senza sosta. Quando le pratiche per l’immigrazione sono terminate e si ottiene il visto per ripartire, i posti vengono occupati dai nuovi arrivati. Sempre che riescano ad approdare.

© FCSF – Popoli