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Bilancio ecumenico 2011: frammenti di unità
28 dicembre 2011

Quali passi avanti nel dialogo ecumenico sono stati compiuti nel 2011? Quali ostacoli rendono questo cammino ancora difficile? Come già successo per il 2010, l’«Osservatorio ecumenico» di Popoli, curato da Guido Dotti, monaco di Bose, fa il punto sulle relazioni tra le Chiese cristiane, con uno sguardo anche all’anno che inizia.

«La cosa più necessaria per l’ecumenismo è che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani e che ci sono restate come dono e compito. È stato l’errore dell’età confessionale aver visto per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico. È questo il grande progresso ecumenico degli ultimi decenni: che ci siamo resi conto di questa comunione e, nel pregare e cantare insieme, nell’impegno comune per l’ethos cristiano di fronte al mondo, nella comune testimonianza del Dio di Gesù Cristo in questo mondo, riconosciamo tale comunione come il nostro fondamento imperituro». Così si è espresso papa Benedetto XVI lo scorso settembre davanti ai rappresentanti della Chiesa evangelica tedesca a Erfurt, nell’ex-convento agostiniano dove visse come monaco Martin Lutero, prima di avviare quella che sarebbe diventata la Riforma protestante.

Ed è con questa attenzione alla condivisione delle Scritture e delle professioni di fede della Chiesa antica che possiamo rileggere i fatti e le speranze che hanno segnato in campo ecumenico l’anno appena trascorso. Un anno in cui, per la seconda volta consecutiva, tutti i cristiani hanno celebrato il mistero fondante la loro fede - la Resurrezione dai morti del Signore Gesù - nello stesso giorno. Purtroppo, questa rara coincidenza del calendario ancora una volta non si è trasformata in una convergenza verso la comune fissazione di un’unica data per la Pasqua, ma l’intensità di quanto si è potuto vivere nelle celebrazioni pasquali rimane come appello pressante a un’unità nella celebrazione della fede e nell’annuncio universale dell’evangelo.
Un anno, il 2011, che si è aperto, proprio nella veglia di capodanno, con la strage dei cristiani copti ad Alessandria e che ha poi visto, a più riprese, i cristiani come l’anello debole nei sommovimenti che hanno attraversato e stanno tuttora attraversando molti Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Queste sofferenze, i timori e le angosce che esse suscitano per il presente e ancor più per il futuro, hanno tuttavia mostrato la spontanea solidarietà di tanti fratelli e sorelle cristiani - di tutti i Paesi e di tutte le confessioni - verso chi più patisce nel professare la propria fede in Cristo. E al contempo hanno anche tragicamente ricollocato in una diversa prospettiva e dimensione le difficoltà e le ostilità che i cristiani possono incontrare in Paesi sempre più secolarizzati: ecumenismo, infatti, significa anche riconoscere l’esigente testimonianza fino al sangue di tanti battezzati e distinguerla dalla perdita di alcuni privilegi o dall’indifferenza, l’irrilevanza e, magari, anche l’avversione verbale che si può riscontrare in Paesi di ancor recente cristianità.

In Europa, i dieci anni della Charta oecumenica si sono celebrati in tono certo minore rispetto alle grandi speranze che quel documento aveva suscitato al momento della sua sofferta pubblicazione: molti impegni là assunti sono rimasti sulla «carta» e quella che poteva essere una tappa per proseguire con slancio e convinzione sul cammino verso l’unità dei cristiani ha finito per essere letta come un punto d’arrivo da difendere contro ripensamenti e arretramenti.

Anche la Convocazione ecumenica sulla pace svoltasi a Kingston, in Giamaica, che ha radunato rappresentanti di tutte le Chiese-membro del Consiglio ecumenico della Chiese ha chiuso sì nella preghiera e nella riflessione condivisa il «decennio per sconfiggere la violenza», ma l’eco del suo testo Per una pace giusta non è parsa capace, almeno per ora, di smuovere efficacemente i centri politici ed economici da cui dipende la sorte di miliardi di persone vittime dell’ingiustizia, della violenza e della guerra.

AD ASSISI UNA VOCE COMUNE
Dal canto loro, alcuni dialoghi o iniziative ufficiali tra confessioni cristiane diverse sono proseguiti con fedeltà e convinzione, così come la collaborazione in alcune realtà nazionali: basterebbe ricordare il Vademecum per la missione elaborato dal Consiglio ecumenico delle Chiese assieme al Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e dall’Alleanza evangelica mondiale, in cui l’ineludibile annuncio dell’evangelo a quanti non confessano Gesù Cristo a loro salvezza si articola con il rispetto della libertà religiosa e il dialogo con i credenti di altre religioni. Questo volto «comune» che i cristiani presentano a chi cristiano non è si è potuto vedere anche in occasione della «Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace», che si è svolta ad Assisi a 25 anni dalla felice e feconda intuizione di papa Giovanni Paolo II. Chiamati a rendere conto della speranza che li abita, papa Benedetto XVI, il patriarca ecumenico Bartolomeo I, l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, e il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, Olav Fykse Tveit, hanno saputo parlare con voce convergente, esprimendo con timbri e accenti diversi la fede nell’unico Signore e l’anelito alla pace e alla giustizia di tutti i cristiani del mondo.

Questa convergenza dei cristiani nel confronto con la società in cui vivono ha anche conosciuto eventi significativi, sebbene limitati nella loro estensione geografica, come l’importante documento congiunto elaborato dalla Chiesa evangelica in Germania e dalla Conferenza dei vescovi tedeschi sul «testamento biologico», per offrire una preziosa guida ai cristiani di quel Paese davanti all’evolversi del quadro legislativo civile su questa delicatissima questione.
Certo, l’anno appena trascorso ha visto anche il riproporsi di difficoltà in alcuni dialoghi, come quello tra le Chiese ortodosse in preparazione al grande sinodo panortodosso o quello tra queste e la Chiesa cattolica; così come vi sono confessioni, come quella anglicana, che soffrono di profonde tensioni interne. Ma in stagioni meno feconde è importante che il desiderio di una comunione più profonda sia mantenuto vivo, nell’attesa di tempi più propizi. Davvero, ciò che unisce i cristiani è sempre più grande di ciò che li divide, perché se a dividerli è la loro infedeltà alla preghiera di Gesù per l’unità dei suoi discepoli, ciò che li unisce è il Signore stesso, lui che è più grande di ogni miseria umana, anche di quelle dei cristiani stessi.    

Guido Dotti
Monaco della Comunità di Bose


© FCSF – Popoli