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Che cosa significa morire per amore
20 ottobre 2010
In occasione della riedizione degli scritti di Christian de Chergé e degli altri monaci di Tibhirine, Più forti dell’odio (Qiqajon, Bose 2010, pp. 292, euro 15), pubblichiamo in anteprima questa riflessione del curatore del volume in uscita sul numero di novembre di Popoli.

Quando, nel 1996, i sette monaci di Notre-Dame de l’Atlas in Algeria - una piccola comunità di trappisti di cui quasi nessuno aveva mai sentito parlare - vennero rapiti e poi uccisi, l’opinione pubblica si commosse al punto che ci fu chi scrisse che «quei monaci in quaranta giorni avevano rievangelizzato la Francia». In realtà non furono i giorni di prigionia e la successiva morte brutale, ma piuttosto i lunghi anni di vita fraterna in mezzo ai credenti dell’islam a essere testimonianza e annuncio del Vangelo. Ne è riprova il fatto che oggi, a quasi quindici anni dalla vicenda, l’uscita di un film come Uomini di Dio ha ridestato in Francia (e non solo) l’interesse appassionato per quelle «vite donate» fino all’estremo: davvero - come ha saputo ben cogliere il regista Xavier Beauvois - l’elemento decisivo non sta nelle modalità dell’uccisione dei monaci, bensì nell’insieme della loro vita, culminata tragicamente al pari di quella di migliaia di algerini in quegli anni.
Del resto, il sacrificio dei monaci di Tibhirine aveva assunto da subito valore di messaggio per l’umanità intera, richiedendo tuttavia nel contempo un duplice sforzo di approfondimento e di comprensione. Innanzitutto il legittimo desiderio di conoscere la verità su quanto accaduto e di affermare la giustizia in questo come negli innumerevoli atti criminali commessi in quegli anni in Algeria. «Voglio perdonare, ma prima voglio sapere chi devo perdonare», ripete da anni Armand Veilleux, abate trappista di Scourmont e all’epoca procuratore generale dell’ordine. Esigenza di verità e di giustizia che si scontra con opportunità politiche in Algeria come in Francia, con troppi interrogativi ancora aperti: il rapimento è stato organizzato e gestito da gruppi islamici più o meno infiltrati oppure da servizi segreti più o meno deviati? Nell’uno o nell’altro caso, qual era lo scopo perseguito? E l’uccisione è attribuibile a fanatici islamici oppure all’errore di una pattuglia dell’esercito in missione antiterrorismo?
In ogni caso, questa opacità mai diradata non sminuisce la portata spirituale dell’evento e della vita che l’ha preceduto, lasciando intatto l’altro itinerario: la comprensione dell’intera esistenza dei sette monaci come «martirio dell’amore», come vita donata fino all’estremo. Non a caso, il processo di beatificazione avviato dalla diocesi di Algeri accomuna tutti i 19 religiosi, uomini e donne, uccisi in circostanze diverse in quegli anni: «Nella grande tormenta algerina, che ha travolto decine di migliaia di vittime, sta la Chiesa di Algeria che non ha né apparenza né potenza - osserva la Chiesa di Dio che è in Algeria nell’offrire la testimonianza che alcuni suoi figli hanno vissuto fino al sangue -. Essa è presente a un prezzo che è costato 19 martiri in pochi anni: un fratello marista, sei religiose ad Algeri, quattro padri bianchi a Tizi-Ouzou, i sette monaci trappisti dell’Atlas e Pierre Claverie, vescovo di Orano. I nostri martiri presentano una gamma di umanità molto diversificata: vi troviamo persone miti e persone forti, mistici e poeti, attivi e contemplativi, uomini e donne dediti agli umili servizi quotidiani e pionieri della missione, persone dotate di parola potente e altre ricche di silenzio contemplativo. Tutti testimoni dell’amore, del servizio, del dialogo. Il loro sacrificio è una benedizione di pace per la piccola Chiesa d’Algeria e per tutto il popolo algerino, il loro prossimo d’elezione».
Questa umanità testimonia che la barbarie non è un destino fatale e che le religioni non sono i tizzoni che alimentano i nuovi conflitti mondiali. Alla scuola del vissuto di queste persone semplici impariamo che il rispetto della vita umana è il fondamento di ogni convivenza civile, perché solo l’amore, il perdono, la comunione assicurano un futuro a ciascuno e all’umanità nel suo insieme. I monaci di Tibhirine hanno scritto giorno dopo giorno la testimonianza credibile del martirio d’amore, la verità ultima di tutte le religioni: «Non c’è amore più grande che dare la propria vita per quanti si amano».
Guido Dotti
Monaco della Comunità di Bose

© FCSF – Popoli