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Dall'Oglio a Bologna: "Combattiamo il negazionismo"
12 ottobre 2012

Sabato 6 ottobre il gesuita Paolo Dall'Oglio è stato ospite al Centro Poggeschi di Bologna, associazione di studenti universitari e lavoratori, storicamente legata ai gesuiti del capoluogo emiliano. Alcuni giovani hanno dato vita alla Rete Loyola, che propone gruppi di preghiera, studio e divertimento, secondo la spiritualità ignaziana, e che ha ideato questo incontro. Riceviamo e pubblichiamo una sintesi che ci è stata inviata da una partecipante.

C’è una storia che drammaticamente si ripete, una storia che non insegna. Padre Paolo Dall’Oglio lo sa ma continua a lottare, continua a credere che prima o poi qualcosa cambierà, e proprio di questa storia ha parlato durante la conferenza al Centro Poggeschi sabato 6 ottobre, davanti a un pubblico variegato ma composto soprattutto da ragazzi, i giovani della Rete Loyola.
È la situazione della Siria, Paese in cui ha trascorso metà della sua vita, a cui ha cercato di ridare vita e da cui è stato espulso nel giugno 2012, dopo trent’anni passati a promuovere il dialogo interreligioso. «Oggi sono andato a Montesole per visitare la tomba di Dossetti; la sua è una testimonianza esemplare, ma mi rendo conto che da Dossetti a oggi non è cambiato nulla. Il nostro dovere, oggi, è di essere i primi testimoni». 
Dall’Oglio ha raccontato la situazione della Siria in parallelo alla sua storia, legata a quella del Paese: il noviziato a Beirut, lo studio dell’arabo, gli esercizi spirituali sui ruderi di un monastero, la fondazione della comunità di Deir Mar Musa Al-Habashi (nella foto); e poi la dittatura di Assad padre e Assad figlio: «Il governo del padre faceva grandi promesse - ha ricordato  -, c’erano progetti per la crescita del Paese, ma quella struttura economica ha accresciuto la configurazione mafiosa del partito. Stessa cosa è avvenuta con il figlio Bashar: progressi ambientali, lotta alla desertificazione, dialogo interreligioso. C’era fiducia in lui ma tutti sono statu delusi».
Intanto la comunità fondata da padre Paolo cresceva, diventava una tappa per tutti, musulmani compresi. Così come cresceva la manipolazione dell’informazione, manipolazione ideologica, «per nascondere la sostanza di un Paese mafioso, perché il regime di Assad crede fortemente nella conservazione del potere e lo fa attraverso la mortificazione dell’altro, sia musulmani, sia europei, con l’uso sistematico della tortura, della prigionia. Instaura una struttura pancomplottista per cui si combatte chiunque individuato come nemico. La propaganda siriana è sempre stata questa».
Tv satellitari, radio e internet hanno contribuito a creare più voci di confronto per uno spirito critico; soprattutto la comunità di Deir Mar Musa «ha dato una prospettiva di verità, quella di riconoscere il movimento siriano come evoluzione di un popolo ma non con la lotta armata». Se c’è una guerra cosa si può fare? Per Padre Paolo la risposta non è certamente nelle armi: «Mi hanno accusato di aver fomentato la lotta armata, ma se non si opera con il dialogo quella sì, diventa l’unica via. Servono dialogo e mediazione ma bisogna fare, altrimenti nulla cambierà. Quella del fare è la corresponsabilità politica globale, un lavoro culturale». Un atto di lealtà sarebbe dunque «riconoscere il diritto di un popolo mediterraneo alla democrazia».

Ilaria De Lillo

© FCSF – Popoli