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Diecimila orti in Africa, la scommessa di Slow Food
18/02/2014
Creare diecimila orti in Africa entro il 2016, è questa la scommessa lanciata lunedì 17 febbraio da Slow Food dal palco dell'auditorium San Fedele di Milano. «Per decenni - ha detto Carlo Petrini, fondatore e leader del movimento - l'agricoltura di sussistenza è stata considerata come qualcosa di arcaico, di vecchio, da sacrificare sull'altare delle monocoltura intensive. Si è così dimenticato il valore di un modo di coltivare che non solo ha sfamato per secoli le popolazioni rurali, ma ha preservato la biodiversità, ha tutelato l’ambiente e ha rafforzato la coesione sociale».

Ed è proprio questa agricoltura di sussistenza che Slow Food vuole riproporre come un esempio per far ripartire le economie rurali africane e per creare nuovi modelli sociali basati sul lavoro in rete e su leadership giovani e motivate. L'obiettivo è di dar vita a diecimila orti entro il 2016. «Il progetto degli orti - ha continuato Petrini - è affidato alle comunità locali e ai giovani che sono la forza del continente. Sono loro che devono mettere in campo tutte le energie per rilanciare l'Africa. L'organizzazione deve essere affidata a loro e sono sempre loro che devono scegliere i leader che li guideranno. Questo modello potrebbe diventare anche una buona pratica per la politica africana».

Non è un caso che per presentare il progetto, Petrini abbia voluto accanto a sé cinque ragazzi africani (che sono stati introdotti da personaggi del mondo dello spettacolo: Moni Ovadia, Roberto Vecchioni, Antonio Albanese, Gianmaria Testa, Lella Costa) che in questi anni si sono impegnati nella creazione di piccoli orti comunitari e famigliari. Un impegno che non è rimasto isolato, ma che è diventato una rete continentale attraverso la quale i giovani si cambiano informazioni grazie anche alle nuove tecnologie informatiche.

In questo progetto, però, secondo Petrini i giovani africani non possono essere lasciati soli. «È necessario che l'Europa si faccia carico di un'iniziativa come questa. Noi che siamo gli eredi dei colonizzatori abbiamo un debito verso l'Africa. Dobbiamo quindi restituire al continente ciò che per secoli abbiamo portato via. Dobbiamo operare in uno spirito di fratellanza e di solidarietà. Solo così potremmo davvero aiutare un continente giovane e pieno di speranze».
Info: fondazioneslowfood.it
e.c.
© FCSF – Popoli