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Digiuno, crocevia delle fedi
3 settembre 2013
Domenica scorsa, nel corso dell'Angelus, papa Francesco ha lanciato un appello universale contro ogni intervento militare in Siria e ha annunciato per sabato 7 settembre una giornata di digiuno e di preghiera per la pace. Un'iniziativa alla quale ha invitato anche le altre fedi in un'ottica di dialogo interreligioso. Nel rilanciare l'invito di papa Bergoglio a tutti i nostri lettori, riproponiamo un articolo pubblicato nel marzo 2009 in cui si spiega il significato del digiuno nelle principali tradizioni religiose.


Nei suoi sermoni, Basilio Magno
sottolinea continuamente l’efficacia salvifica del digiuno. Nei Padri della Chiesa, del resto, ritroviamo spesso l’idea che il digiuno possa operare la pace. Dice, ad esempio, Pietro Crisologo: «Il digiuno è la pace dei corpi». Anche Giovanni Climaco attribuisce al digiuno analoghi effetti: «Il digiuno blocca il profluvio delle chiacchiere, allevia l’inquietudine, favorisce l’ubbidienza, rende gradevole il riposo, sana i corpi, placa gli animi». I Padri della Chiesa sottolineano gli effetti benefici del digiuno sul corpo e sull’anima: quando il corpo diventa grasso e pesante, anche l’anima diventa grassa e ottusa. Molto cibo assopisce la vigilanza spirituale dell’uomo. La salute del corpo e dell’anima sono un’unità, vanno insieme.
In gioco c’è dunque l’uomo nella sua totalità e il raggiungimento del suo obiettivo ultimo. Sul percorso verso quello scopo, il digiuno è un importante e sperimentato sostegno. Esso salva l’uomo in quanto corpo e anima, lo conduce alla libertà interiore: è un percorso verso l’autorealizzazione, verso l’intima felicità.

KIPPUR, DIGIUNO ED ESPIAZIONE
Nella Torah il digiuno viene chiamato Yom haKippurim («Giorno degli espiatori»), un periodo in cui è vietato cibarsi ed è proibita qualsiasi attività o lavoro che distolga l’attenzione dall’espiazione e dal pentimento. Tuttavia, un digiuno che non fosse accompagnato da autentico ravvedimento e opere giuste era denunciato dai profeti come una vuota osservanza delle leggi.

Nel calendario ebraico Yom Kippur incomincia al crepuscolo del decimo giorno del mese ebraico di tishri (che cade tra settembre e ottobre del calendario gregoriano) e continua fino alle prime stelle della notte successiva. Può quindi durare 25-26 ore. Il prossimo cadrà il 27 settembre 2009. La Torah vieta alle donne dai 12 anni e agli uomini dai 13 anni di mangiare e di bere nel giorno di Kippur; oltre a tutti i divieti vigenti durante il sabato (shabbàt), a Kippur è anche vietato spalmare creme, lavarsi, indossare scarpe di cuoio o di pelle e avere rapporti intimi. Se ci sono problemi di salute bisogna consultare un rabbino prima del digiuno.

Aron Moss, rabbino di Sydney, spiega: «Indubbiamente non è divertente digiunare. Nel corso della giornata può capitare spesso di controllare l’orologio, in attesa della fine del digiuno. Abbiamo sicuramente il siddùr (il libro delle preghiere) in mano, ma vediamo un menù davanti agli occhi; mentre il chazan (cantore della sinagoga) implora il Signore di perdonarci, noi gli chiediamo di darci la cena. Non conosco una formula magica per facilitare il digiuno. È bene però sapere che digiunare può diventare un’esperienza spirituale. Anziché tentare di ignorare la fame del corpo, la si può utilizzare per avvicinarsi alla propria anima. Naturalmente serve un po’ di contemplazione».

RAMADAN, PILASTRO DELL’ISLAM
Nella tradizione islamica il digiuno rituale (detto sawm) viene praticato nel mese di Ramadan, che significa «mese caldo», perché di solito coincideva con periodi estivi. I fedeli dovevano ripercorrere il cammino del profeta Maometto, il quale digiunò durante il periodo della «rivelazione», che cadeva in estate. Successivamente però Maometto stesso adottò un calendario lunare di dodici mesi, il che fece sì che la celebrazione cambiasse data di anno in anno. C’è poi da dire che il Ramadan non comincia in tutti i Paesi nello stesso momento. I Paesi nei quali inizia insieme sono: Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi, Qatar, Yemen, Kuwait, Libano, Siria e i territori palestinesi della Cisgiordania e Gaza. In Iraq i sunniti iniziano insieme agli altri Paesi arabi, mentre gli sciiti lo cominciano il giorno successivo. Gli iraniani invece, di maggioranza sciita, celebrano il youm ilshak, «giorno del dubbio», durante il quale l’astensione dal mangiare è facoltativa e non si calcola come giorno per il mese di digiuno.

In ogni caso, il digiuno durante tale mese costituisce il terzo dei cinque pilastri dell’islam e chi ne nega l’obbligatorietà è kâfir, colpevole cioè di empietà massima. Quando tramonta il sole il digiuno viene rotto. Al termine del Ramadan, viene celebrato lo Id al-fitr, «la festa della interruzione».

BUDDHISMO: BANDITI GLI ECCESSI
I monaci buddhisti praticano il digiuno ogni primo giorno della settimana lunare, accompagnato a settimane alterne dalla confessione pubblica dei peccati. Nel buddhismo i fedeli sono chiamati a pregare in silenzio davanti alla statua di Buddha e a pentirsi delle loro colpe. Nel buddhismo l’astinenza viene criticata quando rappresenta un eccesso, una pura manifestazione esteriore, perché determina una forma di attaccamento pericoloso tanto quanto l’attaccamento al cibo che il digiuno vorrebbe sconfiggere. La ricerca di un modo adeguato di nutrirsi corrisponde a quell’approccio dove il cibo è strumento di sopravvivenza o anche motivo di piacere, ma senza l’attaccamento a questo piacere.

Il Buddha venne illuminato alla vista di un malato, un vecchio e un morto e si chiese perché gli uomini nascevano solo per soffrire, invecchiare e morire. Per giorni praticò meditazione, digiuno e yoga non raggiungendo però la pace spirituale. Così capì che la risposta doveva trovarsi nella propria coscienza. Per altre quattro settimane (o forse sette) continuò la meditazione digiunando e resistendo alle tentazioni. In questo modo, si dice, raggiunse la meta suprema: il Nirvana, ovvero la condizione di perfetta pace e illuminazione libero dal desiderio e dalla sofferenza.

CRISTIANI, GESTO DI AMORE
Il digiuno dei cristiani trova il suo modello e il suo significato nuovo e originale in Gesù. È vero che il Maestro non impone in modo esplicito ai discepoli nessuna pratica particolare di digiuno e astinenza. Ma ricorda la necessità del digiuno per lottare contro il maligno e durante tutta la sua vita, in alcuni momenti particolarmente significativi, ne mette in luce l’importanza e indica lo spirito con cui viverlo.

Con il digiuno Gesù si prepara a compiere la sua missione di salvezza in obbedienza al Padre e in servizio d’amore agli uomini. Riprendendo la pratica e il valore del digiuno in uso presso il popolo di Israele, Gesù ne afferma con forza il significato essenzialmente interiore e religioso e rifiuta pertanto gli atteggiamenti puramente esteriori e «ipocriti»: digiuno, preghiera ed elemosina sono un atto di offerta e di amore al Padre «che è nel segreto» e «che vede nel segreto» (Mt 6,18). La Chiesa trova il fondamento dell’invito al digiuno come segno di partecipazione dei discepoli all’evento doloroso della passione e della morte del Signore, che si fa particolarmente intensa nella celebrazione del Triduo della Pasqua. Il riferimento a Cristo e alla sua morte e risurrezione è essenziale e decisivo per definire il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza. Infatti, nella sequela di Cristo e nella conformità con la sua croce il cristiano trova la propria identità e la forza per accogliere e vivere con frutto la penitenza.

In tal senso, qualsiasi pratica di rinuncia trova il suo pieno valore, secondo il pensiero e l’esperienza della Chiesa, solo se compiuta in comunione viva con Cristo, e quindi se è animata dalla preghiera ed è orientata alla crescita della libertà cristiana, mediante il dono di sé nell’esercizio concreto della carità fraterna.
Giorgio Nadali
tratto da Popoli, n. 3/2009
© FCSF – Popoli