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Ercolessi: "Chiunque vinca, prevarrà la continuità"
18 ottobre 2012
Obama? Ha destato grandi illusioni, ma alla fine si è rivelato molto pragmatico. Romeny? Non cambierà molto rispetto al suo, eventuale, predecessore. Maria Grazia Ercolessi, docente di Sistemi politici e sociali dell’Africa contemporanea dell’Università Orientale di Napoli, disegna così l’atteggiamento verso l’Africa dei due candidati alle elezioni presidenziali.

Quali interessi hanno gli Stati Uniti in Africa?
Innanzi tutto il mantenimento della sicurezza, cioè la creazione di un argine al fondamentalismo islamico. In questo contesto è nato Africom, il comando militare statunitense che si occupa del continente africano e, in particolare, di due teatri sensibili: Corno d’Africa e Sahel. Poi gli interessi economici, principalmente, la fornitura di petrolio. Ovviamente la questione economica non riguarda solo l’«oro nero», ma anche gli ingenti investimenti delle multinazionali Usa e le relazioni commerciali con numerosi Paesi africani. È qui che si situa anche la forte competizione con la Cina.

Quali strategie ha adottato Barack Obama nel corso del suo mandato?
Barack Obama aveva destato grandi aspettative. Tutti, me compresa, si aspettavano un «Obama africano» che avrebbe innovato molto le relazioni politico-economiche statunitensi nei confronti dell’Africa. In realtà, non ha innovato molto. Anzi, ha mantenuto una certa continuità con i suoi predecessori. L’Africa non è stata considerata una priorità della sua amministrazione se non per il contrasto con l’asse del terrorismo. In questo contesto ha continuato l’opera dei predecessori mantenendo Africom, il comando militare per le operazioni nel continente, proseguendo il suo impegno in Somalia e nel Sahel. In Libia, l’intervento è stato delegato agli europei e l’amministrazione Usa si è esposta meno. Non solo, ma si sono sottovalutati gli effetti che la crisi libica avrebbe potuto causare (e nei fatti ha causato) nell’Africa subsahariana. Pensiamo alla crisi del Mali, dove la guerra è stata provocata da uomini fuggiti dalla Libia.

Dal punto di vista militare però la strategia è cambiata...
Barack Obama nella campagna elettorale ha insistito molto sull’impiego dell’intelligence in contrapposizione al modello di intervento in Iraq e Afghanistan. Nel corso del suo mandato, sembra aver però adottato una via di mezzo: ampio uso dell’intelligence, ma anche impiego delle forze speciali, delle strutture di comando di Africom e dei network con le forze armate locali. Sul terreno non ci sono migliaia di persone, ma piccoli gruppi di specialisti che hanno un ruolo di intelligence, infiltrazione e cooperazione militare. Di questa militarizzazione strisciante fanno parte, per esempio, gli interventi in Somalia con i droni per eliminare i comandanti shabaab e gli interventi di commando delle forze speciali in collaborazione con gli eserciti di Kenya ed Etiopia.

E sul piano economico?
C’è stato un rafforzamento delle relazioni bilaterali con i Paesi emergenti. Penso al Sudafrica, ma anche alla Nigeria, al Ghana, all’Angola. Sono nazioni che hanno grandi potenzialità economiche. Ma Obama non ha fatto altro che replicare il modello economico-commerciale varato ai tempi di Clinton.

Se vincesse, Romney cambierebbe strategia?
Non credo. Forse aumenterà la retorica sulla minaccia islamica, probabilmente aumenterà anche la presenza militare statunitense nel continente. Dal punto di vista economico, Romney sarà forse più aggressivo nei confronti dei concorrenti cinesi. Ma non molto di più.
e.c.
© FCSF – Popoli