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Filippine, professori contro vescovi
7 novembre 2012
Lo scorso agosto, 192 docenti laici dell’università Ateneo de Manila, diretta dai gesuiti, hanno firmato una dichiarazione che sollecitava l’approvazione di una proposta di legge, la cosiddetta Reproductive Health Bill (RH Bill, legge sulla sanità della riproduzione). La proposta prevede, tra le altre cose, di finanziare la distribuzione gratuita di anticoncezionali tra i poveri. L’arcivescovo José Palma, presidente della Conferenza episcopale cattolica delle Filippine (Cbcp), che si batte da 40 anni contro ogni politica di «controllo della popolazione», ha reagito con forza alla dichiarazione dei docenti, paventando che l’Ateneo potesse essere privato del suo status di istituzione cattolica. In altri ambienti cattolici si è chiesto il licenziamento dei firmatari.
In una lettera indirizzata alla facoltà, il gesuita Jose Villarin, preside dell’ateneo, ha ribadito che l’università sostiene i vescovi nella battaglia contro la RH Bill nella sua stesura attuale e che continua a offrire ai propri studenti una solida dottrina cattolica. Nello stesso tempo, però, ha difeso il diritto dei docenti a studiare la questione ed esprimere le proprie opinioni personali. Villarin ha poi sollecitato uno sforzo per modificare o cancellare dal disegno di legge gli elementi più dibattuti, rilevando che, nella tradizione cattolica, fede e ragione non sono visti come nemici ma come alleati e che «da questa tradizione possiamo trarre la forza per il nostro cammino».
Se la lettera di Villarin è riuscita a calmare le acque all’interno dell’università, ha però reso ancora più violenta la tempesta intorno al disegno di legge. Conrado de Quiros, un famoso giornalista del Philippine Daily Inquirer, il più diffuso quotidiano del Paese, ha accusato il preside di imporre ai propri studenti una dottrina medievale. Altri hanno invece criticato i vescovi in nome della libertà accademica. Infine 47 docenti dell’Università De La Salle, gestita dai Fratelli delle scuole cristiane, hanno rilasciato una dichiarazione a sostegno del disegno di legge. Come spesso accade, i problemi reali scompaiono nel polverone della battaglia.

LE PREMESSE
Le Filippine sono un arcipelago nel Mar Cinese meridionale, 1.600 chilometri a est del Vietnam. Durante il XX secolo la loro popolazione è decuplicata, passando da 7,6 a 76 milioni di persone, e continua a crescere pur se a un tasso meno elevato. Con circa 100 milioni di abitanti oggi le Filippine sono il dodicesimo Paese più popoloso al mondo. Il possesso delle terre e di altre risorse è concentrato nelle mani di una ridotta minoranza. La povertà è diffusa, così come la corruzione, nel governo come nelle imprese. Fame e disoccupazione sono in aumento e quest’ultima è pari a un terzo della forza lavoro. Un filippino su dieci ha dovuto emigrare all’estero. Nelle fasce più povere della popolazione si concentrano le famiglie numerose, cosa che rende loro ancora più difficile uscire dalla condizione di indigenza.
Insieme al piccolo Stato di Timor Est (indipendente dal 2002), le Filippine - per più di tre secoli colonia spagnola - sono l’unico Stato asiatico a maggioranza cristiana. Circa l’85% dei filippini si definisce cattolico e la Chiesa cattolica, con le sue 86 diocesi governate dai vescovi filippini, la sua rete nazionale di parrocchie, cappelle, istituti scolastici, stazioni radio, ospedali e movimenti laicali, rappresenta una grande forza sociale. La sua credibilità come custode dei valori della nazione è stata resa ancora più forte dalla leadership pacata ma solida del cardinale Jaime Sin, per un trentennio arcivescovo di Manila, che si oppose al regime dittatoriale di Ferdinand Marcos (1972-1986) e sostenne la rivoluzione pacifica che lo ha deposto.

PROPOSTA DI LEGGE
Benché la Costituzione delle Filippine riconosca la separazione tra Stato e Chiesa, i vescovi non hanno esitato a esprimere il proprio parere su questioni morali che riguardano la nazione. C’è una lunga lista di lettere pastorali che fanno riferimento all’onestà nella vita pubblica, ai diritti umani, alla riforma agraria e all’ambiente. I loro interessi principali, tuttavia, si sono sempre rivolti verso l’istruzione e la vita familiare e, in particolare, verso la «questione demografica», che ha fatto ingresso nel dibattito pubblico per la prima volta negli anni Sessanta. Affrontato anche da economisti, demografi e politici, il tema demografico è rimasto motivo di frizione costante nei rapporti tra Stato e Chiesa. Periodicamente questa frizione si è trasformata in confronto aperto, come quando il cardinale Sin, protestando contro la Conferenza dell’Onu al Cairo su popolazione e sviluppo del 1994, guidò una manifestazione in cui furono bruciati i documenti preliminari del summit.
Anche se non esiste un vero «elettorato cattolico», è risaputo che i vescovi filippini nei momenti decisivi fanno sentire ai legislatori la propria voce, paventando loro esiti negativi alle urne nel caso in cui non dovessero sostenere le posizioni della Chiesa. Queste minacce sono prese molto sul serio dalla classe politica. La gran parte della classe media istruita, però, mal sopporta di dover ascoltare i sermoni domenicali contro il disegno di legge e le preghiere speciali affinché questo sia respinto. D’altra parte, anche da parte di gruppi di laici cattolici vi è un’opposizione forte e molto organizzata all’approvazione della legge.
Per diventare legge il disegno deve essere approvato da entrambi i rami del Congresso e firmato dal presidente. In questo momento la maggior parte dell’attenzione è focalizzata sul testo al vaglio della Camera dei rappresentanti. Da più parti ci si attendono «emendamenti killer» proposti dai nemici del disegno di legge e altre modifiche destinate ad ammorbidire l’opposizione degli ambienti ecclesiali. Ma nessuno sa dire se la RH Bill sarà approvata e in quale forma. L’altro ramo del Congresso, il Senato, deve ancora trovare un accordo sulla versione del testo da votare.
La parte centrale di entrambe le versioni all’esame di Camera e Senato è la norma sulla distribuzione gratuita di contraccettivi ai poveri con l’uso di fondi pubblici. Non si tratta di «legalizzare» i contraccettivi, che già possono essere liberamente acquistati in farmacia, né di legalizzare l’aborto, anche se sono state sollevate questioni circa possibili effetti abortivi della spirale intrauterina e della pillola. Il disegno di legge in esame alla Camera servirebbe anche a potenziare l’assistenza prenatale per le madri e a fornire cliniche mobili per le zone rurali.
Lo stesso disegno prevede poi l’attuazione di programmi di educazione sessuale, realizzati dalle autorità pubbliche, per tutte le scuole sia statali sia private, anche se un emendamento proposto dal principale autore del disegno di legge consentirebbe ai genitori di esentare i propri figli.
Le autorità ecclesiastiche restano fermamente contrarie al disegno di legge. D’altra parte alcuni gesuiti, insieme ad altre voci all’interno della Chiesa, sollecitano un compromesso. Il gesuita Joaquin Bernas, avvocato costituzionalista ed ex membro della commissione che nel 1986 redasse la nuova Costituzione democratica, già superiore dei gesuiti filippini e preside dell’Ateneo de Manila, ha difeso nella sua rubrica settimanale sul Philippine Daily Inquirer una versione modificata del disegno di legge. In particolare Bernas, pur accettando la dottrina della Chiesa sulla contraccezione, sostiene che l’uguaglianza e la libertà di coscienza in una società pluralistica richiedano che i metodi contraccettivi non abortivi debbano essere messi a disposizione di tutti.
Per tutta risposta mons. Gabriel Reyes, presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita, il 31 agosto ha pubblicato a tutta pagina sullo stesso quotidiano e sul Philippine Star un’inserzione nella quale ha asserito che la legge naturale, contraria alla contraccezione, deve essere applicabile a tutti e che non può essere violata da parte dello Stato.
La replica di Bernas nella sua rubrica del 10 settembre ha gentilmente accolto con favore il «dibattito» e ha risposto alle questioni sollevate dal vescovo, senza però ritirare nessuna delle proprie affermazioni.

UNA VIA PERCORRIBILE
E così per adesso la questione ristagna. Chi scrive ha sostenuto che la Chiesa si è messa in una situazione senza via d’uscita: se la Rh Bill dovesse passare «sui cadaveri dei vescovi», la loro autorità morale ne risulterebbe seriamente compromessa. Se, d’altra parte, fosse rigettata grazie agli sforzi della Chiesa, la conseguente reazione violenta dell’anticlericalismo potrebbe uguagliare quelle nelle ex roccaforti cattoliche come il Canada francese, l’Irlanda e la Spagna.
L’unica via percorribile sembra essere quella del compromesso e della negoziazione. Il bene comune esige che la questione sia finalmente risolta in modo che il Paese possa andare avanti.

John J. Carroll SJ
Gesuita, fondatore del J.J. Carroll Institute
on Church and Social Issues
© FCSF – Popoli