Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Primo piano
Cerca in Primo Piano
 
Gli azionisti diventano "critici"
26 marzo 2013
Si chiama «azionariato critico». Negli Stati Uniti ha una grande tradizione. In Italia invece sta muovendo i primi passi. Di che cosa si tratta? E come coinvolge l’Eni, la compagnia petrolifera nazionale? Popoli.info ne ha parlato con Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale responsabilità etica (www.fcre.it), la fondazione legata alla Banca etica che, da alcuni anni, ha adottato questo sistema di azionariato.

Che cosa si intende per «azionariato critico»?
Per azionariato critico si intende l’acquisto di azioni di imprese accusate di violazioni dei diritti umani, sociali o ambientali, in modo da portare domande e richieste all'attenzione dell’assemblea degli azionisti e della dirigenza della stessa impresa.

In questo contesto come opera la vostra fondazione?
Cinque anni fa la Fondazione culturale responsabilità etica ha deciso di acquistare piccoli pacchetti azionari di Eni ed Enel. Abbiamo acquistato quote minime, circa cento euro, che ci permettono però di partecipare all’assemblea annuale degli azionisti. Ma la nostra azione non si è fermata alle assemblee. La Fondazione ha avviato un serrato confronto con i vertici aziendali portando loro le istanze che riteniamo più sensibili e che ci vengono segnalate dalle organizzazioni (molte delle quali lavorano nel Sud del mondo) che collaborano con noi.

Quali sono queste organizzazioni?
Per quanto riguarda Enel lavoriamo insieme a GreenPeace sui temi dell’energia nucleare. Per quanto riguarda l’Eni collaboriamo con Crbm (Campagna per la riforma della Banca mondiale), ma anche con Amnesty International. Teniamo anche rapporti con associazioni dei Paesi nei quali Eni ed Enel lavorano.

Per quanto riguarda l’Eni, quali problemi avete sollevato nel corso delle assemblee degli azionisti alle quali avete partecipato?
Abbiamo sollevato molti problemi. Tra i più importanti c’è quello del gas flaring in Nigeria. In quel Paese, tutte le compagnie petrolifere (Eni compresa) bruciano a cielo aperto il gas che viene estratto con il petrolio. L’Eni ha riconosciuto l’esistenza del problema del gas flaring e della necessità di ovviare ad esso. Nel bilancio sociale della società è scritto che nel più breve tempo possibile verranno realizzati impianti per riutilizzare il gas. Non so se questo risultato sia dovuto interamente alla nostra azione in assemblea. Sono convinto però che la nostra iniziativa, unita ad altre forme di pressione simili fatte in Italia (attraverso campagne ad hoc) e in Nigeria, abbia portato a un’accelerazione dei lavori per evitare questo fenomeno.

Avete sollevato altre questioni rilevanti riguardo all’azione dell’Eni in Africa?
Abbiamo chiesto chiarimenti sullo sfruttamento delle sabbie bituminose in Congo. Il processo per estrarre petrolio dalla sabbia ha un forte impatto sull’ecosistema. A tutt’oggi questo processo è attivo solo in Canada. Nel Paese Nordamericano, pur essendo in vigore una normativa ecologica tra le più avanzate, l’impatto sull’ambiente e sulle popolazioni locali è stato fortissimo. Se ciò è avvenuto in Canada, a maggior ragione può capitare in Congo dove la normativa non è così rigorosa e i controlli sono blandi. L’Eni ha risposto più volte che quello delle sabbie bituminose in Congo è soltanto un progetto pilota, che per il momento nulla di definitivo è stato deciso in merito e, qualora dovessero avviare uno sfruttamento intensivo di queste sabbie, applicherebbero i più elevati standard di sicurezza. Nonostante ciò le preoccupazioni sono molte.

Pensate che il modello di «azionariato critico» adottato con Eni ed Enel possa essere esteso anche ad altre società?
Noi crediamo che questa forma di intervento debba diffondersi sempre di più nel nostro Paese. Negli Stati Uniti gli azionisti attivi che partecipano alle assemblee proponendo mozioni che chiedono maggior rispetto dei diritti umani, ambientali e sociali hanno una grande forza. D’altra parte l’«azionariato critico» è nato proprio negli Stati Uniti sulla spinta dei movimenti religiosi. Oggi quei movimenti hanno creato una rete di oltre 200 investitori istituzionali. Una rete che si presenta nelle assemblee non con pacchetti considerevoli di azioni e che pongono questioni sui diritti umani, ambientali e sull’impatto sociale delle scelte aziendali. Queste sono forme di pressione importanti capaci di cambiare le strategie di grandi compagnie.
e.c.
© FCSF – Popoli
Tags
Aree tematiche
Aree geografiche