Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Primo piano
Cerca in Primo Piano
 
I fondamentalisti e il Generale: la Libia in bilico
21/05/2014
La Libia sta sprofondando nel caos della guerra civile: da una parte i miliziani fondamentalisti, dall’altra i militari del generale ribelle Khalifa Haftar. La situazione è particolarmente grave, forse la più grave da quando Muammar Gheddafi è stato ucciso nel 2011.

La scintilla della crisi è stato l’assalto al parlamento effettuato dal generale Khalifa Haftar il 18 maggio. L’ufficiale ha scagliato un attacco contro l’assemblea che, a suo dire, sarebbe in mano agli islamisti che tollerano lo strapotere delle milizie fondamentaliste della Cirenaica. Khalifa Haftar ha una storia singolare. Giovane ufficiale partecipò al golpe che portò al potere Muammar Gheddafi nel 1969. Poi negli anni Ottanta venne inviato alla testa delle truppe libiche a combattere in Ciad, dove fu catturato. Qui abiurò l’ideologia gheddafiana per schierarsi con l’Occidente (si trasferì per vent’anni negli Usa), al punto tale che entrò nelle fila dell’opposizione e, nel 2011, al servizio della rivoluzione. «Khalifa Haftar - spiega Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi ed esperto di Libia - non è nuovo a tentativi di colpo di Stato. Ne aveva già tentato uno il 14 febbraio ma, non avendo avuto il sostegno delle milizie più importanti, fallì. Non è un uomo politico né un militare di grande statura. In poche parole non ha la caratura di un Gheddafi, però adesso è riuscito a coalizzare intorno a sé più consenso». Tra le sue file sono infatti accorse non solo le forze speciali di stanza a Tobruk, ma anche la potente brigata di Zintan.

Ma che cosa è cambiato da febbraio? «Il generale -continua Varvelli - potrebbe aver avuto il sostegno dell’Egitto. Il generale al Sissi, che ormai comanda al Cairo, sta combattendo una guerra a oltranza contro la Fratellanza musulmana e contro gli islamisti. La vicina Cirenaica, la regione orientale della Libia che ha come capoluogo Bengasi, sta rischiando di trasformarsi in un santuario dei fondamentalisti. In questo senso potrebbe spiegarsi un sostegno a una persona che, per procura, manda avanti in Libia la battaglia avviata dai militari egiziani in patria». Si dice anche che dietro al generale libico ci siano gli Stati Uniti, Paese che lo ospitò dopo l’abbandono dell’esercito gheddafiano. «Personalmente non credo ci sia un sostegno diretto da parte dell’amministrazione Obama- osserva Varvelli -. Penso che gli Usa stiano a guardare, in attesa di sviluppi».

Intanto sul campo la situazione militare si è complicata. A fianco del parlamento, controllato da una formazione vicina alla Fratellanza musulmana, si sono schierate la brigata di Misurata e, a livello internazionale, l’Algeria. «Il rischio - conclude Varvelli - è che gli scontri si trasformino in una guerra civile in cui le forze fondamentaliste islamiche si contrappongono a quelle più secolari. Non è un caso che le ambasciate occidentali siano molto preoccupate e abbiano lanciato continui allarmi. L’intervento dell’Algeria è spiegabile solo con questioni geostrategiche: Algeri non potrebbe mai tollerare una Libia troppo legata all’Egitto. Per riportare la pace sarebbe necessaria una forza di pacificazione. Ma chi è in grado di sostenere un contingente militare che si stima dovrebbe poter contare su almeno 60mila uomini? Si parla della Turchia e della Malesia, ma non hanno la forza economica e la volonta politica per farlo. L’Europa potrebbe prendere in mano la situazione, ma dar vita a un contingente come quello che staziona in Libano e si limita a dividere i contendenti non ha senso. In Libia serve qualcosa di più».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
Tags
Aree tematiche
Aree geografiche