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Il Cortile del dialogo e il Dio sconosciuto: intervista al cardinal Ravasi
26 febbraio 2013

Nel marzo di due anni fa nasceva, su invito di Benedetto XVI, il Cortile dei gentili, luogo di confronto e incontro tra credenti e non credenti. Un’esperienza itinerante, che ha vissuto momenti di grande intensità in varie città d’Europa. Abbiamo incontrato colui che è dall’inizio l’anima dell’iniziativa, il cardinale Gianfranco Ravasi. Un'anticipazione dell'intervista che esce integralmente sul numero di marzo di Popoli.

Il Cortile dei gentili compie due anni (il primo incontro si svolse a Parigi il 24-25 marzo 2011) ed è tempo per i primi bilanci. Abbiamo allora incontrato colui che - raccogliendo l’invito di papa Benedetto XVI - ha dato al Cortile forma e sostanza: il cardinale Gianfranco Ravasi. Nato nel 1942 a Merate (Lecco), dal 1989 al 2007 è stato Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, imponendosi nel frattempo come uno tra i biblisti più noti al mondo. Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura.

Eminenza, può riassumere brevemente l’idea di fondo che sta all’origine del Cortile dei gentili, gli obiettivi principali di questa iniziativa e il motivo per cui è stata scelta questa denominazione?
Il Cortile dei gentili nasce da un suggerimento di Benedetto XVI, con quel famoso passaggio del discorso alla Curia Romana del 21 dicembre 2009: «Penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di cortile dei gentili dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto». Io non ho fatto altro che riprendere questa idea e svilupparla, soprattutto con lo scopo di creare uno spazio d’incontro tra credenti e non credenti.
Quanto, poi, alla scelta del «nome» risulta evidente che il Santo Padre aveva davanti a sé l’immagine del tempio di Gerusalemme, che comprendeva uno spazio denominato appunto Cortile dei gentili, in cui potevano accedere anche le «genti», i pagani, i non circoncisi, senza distinzioni di cultura, lingua o professione religiosa, un luogo di incontro e di diversità in cui si poteva ascoltare e guardare ciò che gli ebrei dicevano e compivano nello spazio sacro a loro destinato (il Cortile degli Israeliti). Ma, alla fine, le mani non potevano stringersi, come avviene, invece, nel nostro «Cortile».
Questa soluzione di incontro è, piuttosto, un frutto maturo colto dall’albero del cristianesimo. Infatti, Cristo è rappresentato, direi quasi «sceneggiato», da Paolo (Lettera agli Efesini 2, 14-18), nell’atto di abbattere il muro di separazione esistente tra i due popoli, facendo dei due un solo popolo. Credo sia il compito principale affidatoci: ricordare che esiste una base comune infinitamente superiore alle distinzioni, pur necessarie. Siamo tenuti ad affermare l’identità delle culture e delle prospettive, senza negare la comune radice umana.

(...)

DIALOGO SENZA ESCLUSIONI
Molti atei sono tali anche per un’avversione alle istituzioni religiose: questo ha ostacolato le possibilità di incontro?
Non si può negare che l’elemento istituzionale legato alla Chiesa abbia creato e continui a creare qualche difficoltà. Devo dire, però, che, nel caso del Cortile dei gentili, non abbiamo riscontrato resistenze legate a questo aspetto. Certo, si avverte talvolta, proprio attraverso il dialogo, che non c’è il rifiuto di Dio ma delle strutture che vengono viste come elementi che limitano la libertà, soprattutto con l’imposizione di norme troppo rigide. Allora, per evitare la deriva arida e stantia della vecchia contrapposizione «Dio sì, Chiesa no», propongo che il dibattito non sia tra laici e clero, quasi un tribunale con arringhe opposte tra accusa e difesa, ma la ricerca, tra credenti e non, di un punto d’incontro su temi che riguardano l’uomo, nella sua etica e trascendenza, così che la dimensione antropologica diventi il luogo di ritrovo, un territorio di pacifico scambio e di confronto.

Nella vita della Chiesa «annuncio» e «dialogo» sono termini a volte rappresentati in tensione tra loro, quasi che un autentico annuncio del Vangelo escluda la possibilità del dialogo. In altri casi dialogo e annuncio sono invece visti come complementari e anzi necessari l’uno all’altro. Come si pone il Cortile rispetto a questo dibattito?
Il Cortile dei gentili è un’occasione, una possibilità di dialogo veritiero tra persone disposte a spingersi al limite del proprio credo, senza abbandonare la propria identità, per avvicinarsi a chi sta di fronte, pronto allo stesso passo. In questo senso, siamo tutti credenti perché disposti a fidarci dell’altro, a confrontarci reciprocamente. Infatti, molti non credenti o atei intervenuti al Cortile dei gentili hanno rifiutato di definirsi tali, preferendo appellativi come «gentile» o «umanista».
Il professor Lluis Pasqual, uno degli interlocutori del Cortile dei gentili catalano, ha espressamente dichiarato «ateo è una parola che esclude, mentre gentile non è una parola che esclude, (…) tutti crediamo in qualcosa». Il Cortile dei gentili, dunque, non si muove sul terreno dell’evangelizzazione, ma - per semplificare un po’ il concetto - su quello della pre-evangelizzazione, cercando di risvegliare il desiderio, la nostalgia di Dio in coloro per i quali Dio è uno sconosciuto, come dice Benedetto XVI. Per promuovere questa ricerca il Cortile attraversa i territori della cultura, della società, delle istituzioni civili, delle università, intavolando un dibattito intellettualmente onesto, con chiunque desideri costruire un confronto tra logoi alla ricerca del Logos, di quella Verità che ci unisce in quanto partecipi della medesima umanità.

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Quando il Papa presentò l’iniziativa, alcuni commentatori rilevarono che la dimensione dell’ascolto reciproco rischiava di non essere sufficientemente valorizzata, e che credenti e non credenti si sarebbero limitati a una sorta di «dialogo tra sordi». Dopo numerose iniziative in vari Paesi, ritiene che questo rischio sia stato evitato?
Come si diceva, il Cortile dei gentili vuole diventare uno spazio aperto a tutti, senza costrizioni, senza imposizioni, ognuno con le proprie convinzioni, tutti sulla piazza in mezzo alle «correnti del dialogo». È importante capire che il Cortile dei gentili non è una forzatura, ma un luogo in cui il confronto serio serve per riflettere e comunicare con chi crede differentemente, abbattendo quel muro di sordità che spesso rende impossibile la riflessione comune sulle questioni importanti. L’incomunicabilità è spesso causale alla crisi mondiale che stiamo vivendo.
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Ci sono più somiglianze o differenze tra il Cortile dei gentili e la Cattedra dei non credenti che il cardinal Martini promosse a Milano?
Credo che la Cattedra dei non credenti e il Cortile dei gentili abbiano un’ispirazione comune, tanto più perché in ciascuno di noi continuano a convivere ogni giorno un credente e un non credente impegnati in un confronto dialettico incessante, come diceva il cardinal Martini. Tuttavia, la modalità è un po’ diversa. Infatti, a Milano era invitato un non credente a «sedersi in cattedra» e a proporre il suo punto di vista su un tema. Al cardinal Martini spettava concludere con una propria riflessione. Nel Cortile dei gentili, invece, sia i non credenti sia i credenti hanno una «cattedra» alla pari, e dialogano su vari temi.
Mi auguro che il percorso verso un nuovo umanesimo proceda in questo atteggiamento di parità, con la stessa serietà, lo stesso rigore, la stessa franchezza e grandezza che ho ammirato in tutte le personalità finora incontrate, senza strumentalizzazioni e senza ricerca di crediti. Il Cortile dei gentili, inoltre, ha esteso questa ispirazione alla Chiesa universale, in modo che ogni tappa diventi un impulso a continuare ovunque il dialogo necessario tra il Palazzo e il Tempio, tra l’Istituzione e la Piazza, tra credenti e non credenti. A questo proposito, ricordo, a Parigi, l’emozione della sera in cui le porte della cattedrale di Notre-Dame erano aperte a tutti, con un invito anche ai non credenti, ai giovani in particolare, a entrare, a «vedere» e ascoltare la preghiera dei credenti, e a porsi la domanda sul Dio sconosciuto.

IL SOGNO DI GERUSALEMME
Gli incontri si sono svolti sinora perlopiù a livello europeo? Come mai questa scelta? Sono in programma eventi anche in altre zone del mondo?
In effetti, in questi due anni questo «pellegrinaggio della ragione» ha raggiunto mete europee (a novembre 2013 saremo in un altro dei luoghi simbolo della secolarizzazione, Berlino) ma ora si aprono le frontiere oltre Oceano. Nel maggio di quest’anno saremo a Città del Messico. In aprile del 2014 approderemo negli Stati Uniti, a Washington, e poi in Canada, Australia e una speranza che coltivo riguarda la realizzazione di un Cortile a Gerusalemme. I lettori si chiederanno perché non ho nominato l’Asia e l’Africa, terre in cui il tessuto religioso è abbastanza forte. Non è un’omissione, ma in questi continenti il tema della secolarizzazione e dell’ateismo ha delle sfumature diverse rispetto all’Europa, all’America o all’Oceania, e quindi si sta studiando per elaborare una tipologia di dialogo che risponda alle loro esigenze. Quando i tempi saranno maturi, non ci sarà nessuna difficoltà a portare il «Cortile» anche in quei continenti.

Il Cortile dei gentili si presenta come una proposta di alto profilo culturale. È pensabile un’iniziativa che, con gli stessi criteri ispiratori e gli stessi obiettivi, abbia però un taglio più divulgativo, per coinvolgere un pubblico più ampio, ma meno preparato intellettualmente?
L’esempio significativo, anche per l’eco mediatica avuta, è stato il dialogo che ho citato all’inizio tra il Presidente Napolitano e me, ad Assisi, con le relative «Tende di dialogo» allestite su vari temi che toccano più da vicino la vita dei giovani, dei lavoratori, delle famiglie, degli studenti, come è avvenuto, oltre che nella città di Francesco, anche a Parigi, a Bucarest, a Tirana: eventi tutti trasmessi dalle televisioni pubbliche. In realtà, ogni tappa prevede atti di maggiore impegno culturale e altri molto più «popolari», per offrire visibilità mediatica e dare impulso a momenti diversi (pensiamo agli spettacoli serali per i giovani nella piazza di Notre Dame a Parigi, a Tirana e a Palermo).
Il Cortile dei gentili, inoltre, non si sostituisce al prezioso lavoro delle diocesi e delle parrocchie che agiscono quotidianamente sul territorio, ma ha la funzione di stimolare, di mostrare una possibilità, lasciando alla pastorale del luogo l’impegno di far nascere le iniziative più idonee affinché il dialogo non si spenga. Perciò, il Cortile organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura diventa paradigmatico, una proposta di riferimento che va ripresa e tradotta in maniera efficace per un preciso ambiente e per le persone che lo abitano.
Inoltre, mi auguro che il Cortile dei gentili contribuisca a elevare il tono del dibattito culturale che spesso risulta abbassato fino alla polvere. Così, possiamo offrire un contributo alla società deponendo alcuni semi che possono crescere e fruttificare. È, comunque, allo studio la possibilità di interloquire con l’orizzonte molto più problematico dell’indifferenza, della secolarizzazione superficiale, dell’amoralità senza fremiti. È questo l’orizzonte più vasto e complesso, meno sensibile e più arduo da coinvolgere.

Popoli


© FCSF – Popoli