Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Primo piano
Cerca in Primo Piano
 
Il Mali ha un nuovo presidente
14 agosto 2013

È riassunta nella sigla «Ibk» la speranza di riconciliazione e pacificazione del Mali. «Ibk», come comunemente viene chiamato Ibrahim Boubacar Keita, è il neo presidente del Paese dell’Africa occidentale, uscito vincitore dal ballottaggio che si è tenuto domenica scorsa contro Soumaila Cissé.

Keita, 68 anni, non è un personaggio nuovo sulla scena maliana. Nato a Koutiala, studi in Lettere all’Università Sorbona di Parigi e a quella di Dakar, un master in Storia, per anni ha lavorato nel settore della cooperazione internazionale diventando negli anni Ottanta direttore dell’Ong francese Terre des Hommes per il Mali, il Burkina Faso e il Niger. Appassionato di politica, si iscrive all’Alliance pour la démocratie au Mali-Parti africain pour la solidarité et la justice (Adema-Pasj), partito del futuro presidente Alpha Oumar Konaré, del quale dirigerà la campagna elettorale nel 1992. È lo stesso presidente, una volta eletto, a nominarlo suo portavoce e poi, alla fine del 1992, ambasciatore (svolgerà l’incarico diplomatico in Costa d’Avorio, Gabon, Burkina Faso e Niger). Sempre Alpha Oumar Konaré lo richiamerà in patria facendolo entrare nel governo dove sarà ministro degli Esteri e premier (carica che ricoprirà dal 1994 al 2000).

L’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2002 ha scatenato forti tensioni all’interno del partito. Più fazioni si contendono la successione a Konaré. Boubacar Keita e un piccolo gruppo di fedelissimi decide quindi di lasciare l’Adema-Pasj per fondare una nuova formazione, il Rassemblement pour le Mali. Nella tornata elettorale si piazza al terzo posto dietro a Soumaila Cissé e Amadou Toumani Touré. Entra comunque in Parlamento dove viene eletto presidente della Camera.

Dopo la crisi politica, scoppiata nel gennaio 2012 con la rivolta dei tuareg nelle regioni del Nord e aggravata dal colpo di Stato militare a Bamako nel marzo successivo, «Ibk» decide di ricandidarsi. Al primo turno che si è tenuto il 28 luglio e ha visto la discesa in campo di 27 candidati, Boubacar Keita ottiene il 39,7% dei consensi e Soumailia Cissé il 19,7%. Al ballottaggio che si è tenuto domenica «Ibk» ha nuovamente superato il rivale (i dati ufficiali non sono ancora stati resi noti).

Malgrado alcune irregolarità marginali, gli osservatori internazionali hanno giudicato corretta la tornata elettorale. Anche nelle regioni del Nord (Timbuctu, Gao e Kidal) il voto si sarebbe svolto senza particolari incidenti né sarebbe stato influenzato dalle milizie islamiche. Boubakar Keita ha giudicato queste elezioni come «il simbolo del nuovo Mali». E anche la vista tributatagli da Cissé, che ha riconosciuto di fatto la vittoria di «Ibk», ha allontanato la possibilità di battaglie politico-legali post-elettorali.

«Le elezioni sono state tranquillissime - spiega un italiano che da anni lavora in Mali -, la gente era entusiasta e speranzosa di voltar pagina. I maliani hanno votato quasi in massa. Mancavano all’appello i rifugiati scappati dal Nord a Bamako o fuori dal Paese. La fretta con cui sono state volute le elezioni dai francesi e dalla comunità internazionale li ha tagliati fuori. Al Nord si è votato, anche se a Kidal molti seggi sono rimasti vuoti per paura di ritorsioni da parte degli silamisti. I militari golpisti hanno appoggiato “Ibk” apertamente. Non è un caso che Cissé, prima di riconoscere la sconfitta, ha sottolineato l'ingerenza dei militari nel voto. La Francia è soddisfatta del risultato. Sia Ibk sia Cissé sono fedelissimi e quindi non ci dovrebbero essere sorprese per Parigi nel prossimo futuro».

Ora il neopresidente dovrà affrontare sfide impegnative. La prima è quella della riconciliazione nazionale. Dopo la secessione del Nord, Boubakar Keita dovrà cercare di ricucire il rapporto con le formazioni tuareg offrendo loro forme di autonomia e di partecipazione politica. Rimane inoltre ancora attiva la minaccia del fondamentalismo islamico. L’offensiva militare franco-maliana (Operazione Serval) del gennaio di quest’anno, ha costretto le formazioni islamiste (alcune delle quali alleate ad al-Qaeda) a ritirarsi in alcune zone periferiche del deserto. Da lì però possono ancora rappresentare una minaccia per la fragile pace.

Enrico Casale

© FCSF – Popoli