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Il labirinto di Marian
20 gennaio 2011

È stato fra i primi prigionieri ad arrivare ad Auschwitz, ne è uscito vivo dopo sei anni e fino al 1993 non ha raccontato nulla. Poi ha iniziato a parlare attraverso i suoi disegni e non si è più fermato. Ora un documentario prodotto da
un gesuita statunitense racconta la storia di Marian Kolodziej. Una vicenda raccontata in Italia da Popoli, nel numero di gennaio. Ecco di seguito l'articolo (clicca qui per leggerlo in pdf e vedere alcuni disegni di Marian) 

Questa è una storia vera, verrebbe anzitutto da dire e da dirsi di fronte alla in-credibile enormità della vicenda di Marian Kolodziej. Enormità di male e di orrore, ma anche di resistenza al male e di guarigione dall’orrore attraverso la medicina della memoria.
Siamo nel 1940. Marian è un partigiano polacco diciassettenne che si oppone all’invasione nazista. Il 14 maggio si sta preparando a lasciare illegalmente il Paese per organizzare la resistenza dall’estero, ma è arrestato al confine. Un mese dopo viene deportato nel luogo che diventerà il simbolo universale di ogni abominio, ma che è ancora un semplice, sconosciuto villaggio a 50 chilometri da Cracovia: il treno che trasporta Marian (prigioniero n. 432) e qualche altro centinaio di dannati è infatti il primo che arriva ad Auschwitz e saranno questi uomini a costruire le prime baracche, a organizzare materialmente il nucleo di quello che, progressivamente allargato, diventerà il campo di sterminio per antonomasia, dove in pochi anni verranno uccise oltre un milione di persone.
Trasferito temporaneamente a un altro campo, Kolodziej viene sorpreso a copiare documenti dell’esercito da inviare alla resistenza e viene condannato a morte. Torna ad Auschwitz, ma riesce miracolosamente a scampare all’esecuzione. Arriva la fine del 1944, quando i nazisti, braccati dall’Armata rossa, evacuano il campo: così Marian è tra i pochissimi, se non l’unico, tra gli internati che hanno «inaugurato» Auschwitz, a lasciare il campo con le proprie gambe al momento della «chiusura» (le truppe sovietiche arriveranno ad Auschwitz il 27 gennaio, scelta poi come data per il Giorno della memoria che si celebra ogni anno in tutto il mondo).
Ma il calvario non è finito: di evacuazione in evacuazione, più fortunato di tanti compagni di prigionia (ebrei e non) che vennero sterminati dai nazisti anche quando era ormai chiaro che la sconfitta si avvicinava, Marian passa per altri luoghi simbolo del genocidio: Gross-Rosen, Buchenwald, Mauthausen. Qui, il 6 maggio 1945, dopo sei anni torna a essere un uomo libero. Torna a essere un uomo, avrebbe forse scritto Primo Levi.

USCIRE DAL SILENZIO
Marian inizia la sua seconda vita, in cui - come è successo a diversi altri superstiti - sceglie di non raccontare nulla a nessuno. Si sposa, si costruisce una discreta carriera nel campo teatrale, come scenografo, lavorando in Polonia e all’estero. E non torna più ad Auschwitz. Tutto cambia nel 1993, quando viene colpito da una paralisi: il corpo si blocca, ma qualcosa dentro di lui si scioglie. Durante la riabilitazione, ancora incapace di parlare, chiede una penna: inizia a produrre una serie di oltre 300 disegni, ritratti e bozzetti sulle sue memorie.
Alcuni dei suoi disegni vanno a comporre un’installazione denominata «Il labirinto», che fa da basamento a una chiesa nei pressi di Auschwitz, dedicata a san Massimiliano Kolbe. La storia di Marian inizia così ad essere conosciuta in Polonia, ma si deve all’omonimo documentario (The Labyrinth) prodotto dal gesuita statunitense Ron Schmidt e diretto dal figlio Jason (Ron è entrato nella Compagnia di Gesù dopo essere rimasto vedovo) se oggi questa vicenda può avere una notorietà ben più ampia. Nel 2007 - racconta a Popoli il gesuita, che appartiene a una famiglia di cineasti e ha fondato una piccola casa di produzione - mi trovavo ad Auschwitz per un altro progetto. Ho visitato il Labirinto e ho incontrato Marian. Una volta tornato negli Usa mi sono detto che non potevo non fare un documentario su questa vicenda».
«Quando ho visto i disegni per la prima volta - gli fa eco Jason - sono rimasto schiacciato dall’emozione. La descrizione della sofferenza e dell’orrore può respingere, può risultare deprimente, ma poi il valore artistico prevale e ti accorgi di essere in presenza di una grande opera sulla compassione. Ricordo che mi è rimasto dentro un senso di speranza nella capacità di resistenza dell’animo umano, l’ammirazione per la capacità di un uomo di sopravvivere a tanto orrore e poi donare al mondo una tale eredità».

A UN PASSO DALLE NOMINATION
Così Ron Schmidt ricorda Marian, morto il 13 ottobre 2009: «Durante le riprese abbiamo parlato spesso con lui, in vere e proprie interviste o in semplici pasti consumati insieme: era una persona gentile e generosa, in pace, con una spiritualità profonda».
Il documentario, che dura 37 minuti, ha avuto una notevole diffusione negli Stati Uniti, ricevendo diversi premi, e ha mancato di poco la nomination agli Oscar 2011: «Siamo riusciti a proiettare il film a Los Angeles (un requisito essenziale per essere ammessi agli Academy Awards, ndr) e ci siamo qualificati per l’ammissione agli Oscar, nella sezione documentari, ma ci siamo fermati alle “semifinali”. In ogni caso The Labyrinth è stato proiettato in varie città americane. Ora stiamo preparando una versione più lunga, più adatta per il mercato europeo. E da marzo il dvd del film sarà acquistabile dal nostro sito».
Dal film l’attenzione torna, fatalmente, alla vicenda stessa del «prigioniero n. 432». Chiediamo a padre Ron qual è, a suo parere, il messaggio di fondo che Marian e i suoi disegni consegnano agli uomini e alle donne di oggi: «Considero il suo lavoro e la sua vita come un testamento sulla forza dello spirito umano, anche quando è posto di fronte a un’atroce sofferenza. Il messaggio di Marian è che il mondo deve riflettere su dove sta andando: non è impossibile che si ripeta in qualche modo ciò che è successo ad Auschwitz. Solo attraverso la compassione, la pietà e l’amore il genere umano può sopravvivere».

Stefano Femminis

Clicca qui per guardare il trailer del film (in inglese)

© FCSF – Popoli