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Il mistero Bouteflika e il futuro dell'Algeria
13 giugno 2013
Da più di un mese non si hanno notizie certe sullo stato di salute di Abdelaziz Bouteflika, il presidente dell’Algeria. Ricoverato il 30 aprile nell’ospedale francese di Val-de-Grâce per poi essere successivamente trasferito all’Hôpital militaire des Invalides, di lui non si è saputo più nulla. Ischemia cerebrale transitoria è la diagnosi ufficiale. Per settimane non sono state più diffuse né foto, né video, né bollettini medici sulle sue condizioni. Ciò ha alimentato una ridda di voci e supposizioni. E anche il breve filmato che è stato diffuso oggi dai media non ha completamente dissipato i dubbi su una sua piena ripresa. Nel frattempo dietro le quinte si sta scatenando la lotta per la successione. Una lotta durissima che non contrappone solo anime diverse del Fronte di liberazione nazionale (Fln), il principale partito di governo, ma anche generazioni diverse all’interno della stessa formazione.

«Nel discorso di Setif del 2012 – spiega Caterina Roggero, docente di Storia e istituzioni dell’Africa all’Università Statale di Milano - Bouteflika aveva affermato che la sua generazione, cioè quella che ha fatto la guerra di indipendenza, avesse fatto il suo tempo e doveva lasciare il testimone alle nuove leve. Nei fatti questo non è avvenuto perché l’Fln è diviso al suo interno e quindi, non avendo trovato un uomo nuovo che metta d’accordo tutte le fazioni, è bloccato e ripiegato sul passato. Tanto è vero che quest’anno è stata riproposta la candidatura di Bouteflika per le elezioni presidenziali del 2014. Lui non si è tirato indietro. Al momento però non sono state ancora avanzate altre candidature anche perché la malattia di Bouteflika ha cristallizzato le posizioni in attesa di sviluppi».

Fondamentalmente, gli uomini vicini al presidente sono ancora quelli che hanno gestito il potere negli ultimi cinquant’anni. Anche se è vero che alcuni hanno lasciato, chi per motivi di età, chi per diatribe interne. È il caso di Abdelaziz Belkhadem, il vice segretario del Fln, che pareva candidato a succedere a Bouteflika. È stato allontanato perché rappresentava l’ala più favorevole ad aperture agli islamici. Anche il partito gemello dell’Fln, il Rassemblement national démocratique ha convinto il segretario Ahmed Ouyahia alle dimissioni. «C’è una volontà di rinnovamento - continua la Roggero -, anche perché la società civile chiede insistentemente un cambiamento. Le lotte interne però impediscono un reale cambio al potere. Credo che alla fine uscirà un nome nuovo, ma che garantisca i vecchi e consolidati equilibri dell’establishment».

In questo scenario quale ruolo possono giocare i partiti di ispirazione islamica che in altri Paesi della regione hanno assunto un ruolo centrale? «I movimenti e i partiti di ispirazione islamica, anche i più moderati, pagano la stagione del terrorismo - osserva Luciano Ardesi, giornalista, esperto di Nord Africa -. I fondamentalisti sono emersi alla fine degli anni Ottanta cercando di sfruttare lo scontento nei confronti della classe politica di allora. La gente li ha seguiti nella speranza che da lì venisse un rinnovamento della politica. Questo è mancato e il peggio è che l’islam pacifico degli algerini è stato stravolto dalla follia omicida dei gruppi fondamentalisti che hanno massacrato, senza giustificazione, i loro correligionari. Ciò ha tolto molto appeal ai gruppi politici di ispirazione islamica che, pur rimanendo sulla scena politica, difficilmente assumeranno un ruolo politico maggioritario».

Sullo sfondo rimangono le forze armate. Convitato di pietra della scena politica, hanno sempre giocato un ruolo attivo nelle dinamiche di potere. A partire dalla fine della guerra di indipendenza quando l’Fln si spaccò tra l’ala «politica» e quella «militare». La spuntarono i militari che favorirono l’ascesa di Ahmed Ben Bella e poi di Houari Boumedienne. Con la morte di Boumedienne sono state ancora le forze armate a decidere la successione nominando Chadli Bendjedid. Con lo scoppio della guerra civile, infine, le forze armate hanno, ancora una volta, preso il potere per contenere l’avanzata islamista. «In Algeria non si può immaginare un ruolo marginale delle forze armate - continua Ardesi -. Sono sicuro che, anche questa volta, avranno un occhio aperto sulle vicende future soprattutto se il presidente, per ragioni di salute, dovesse ritirarsi dalla scena politica. È tutto da vedere se i generali vorranno o meno intervenire direttamente a gestire i giochi politici. Credo che interverranno solo nel caso di grandi difficoltà nel processo di transizione del dopo Bouteflika. Attualmente rappresentano una sorta di “riserva strategica” del Paese, come lo sono stati nel 1992».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli