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Un gesuita francese tra i filippini in Algeria: anche questa è missione
Roland Doriol è un gesuita francese che ha trascorso quindici anni a Cebu (Filippine), lavorando come cappellano in una scuola nautica e al porto, tra i marinai e le loro famiglie. Per alcune settimane si è recato in Algeria, incontrando operai filippini emigrati nel Paese nordafricano e scoprendo un volto attuale della missione.

Dopo avermi accolto all’aeroporto di Costantina, nell’est dell’Algeria, Georges, un mio confratello gesuita, mi porta direttamente in un quartiere affollato alla periferia della città. Mi mostra le strade e le zone residenziali, poi il luogo dove sarà costruita la linea del tram, una parte della futura autostrada e le strade normali che hanno bisogno di riparazioni. Il paesaggio mi è famigliare, non è molto diverso dai luoghi e dalle strade che ho visto nelle Filippine durante i quindici anni in cui mi sono dedicato ai futuri marinai che avrebbero solcato i mari del globo. Poco dopo ci dirigiamo verso la cima di una collina, sotto la quale stanno costruendo una galleria, e da qui raggiungiamo un cantiere. Nell’ufficio troviamo Edwin, un filippino sulla quarantina, con un sorriso amichevole. Poi arriva Theo, che è originario dei monti Igorot a nord delle Filippine. È il custode del cantiere e ci autorizza a chiamare gli operai e ad aspettarli all’ingresso: ci riconosciamo grazie alle email che ci siamo precedentemente scritti. Iniziamo a scambiarci qualche notizia, per non parlare del mio pasalubong - come i filippini chiamano i regali portati da casa - che in questo caso è una grossa barra di cioccolato che arriva dalla Francia, e del bollettino Filipino Balita che stampavo per i marinai. Poche parole in tagalog e in cebuano e non vediamo l’ora di poter incontrare altri filippini la domenica sera al cantiere.
L’unica possibilità di entrare in contatto con questi lavoratori è di aspettarli ai cancelli del cantiere, tra il via vai dei minibus carichi di operai che provengono da vari Paesi asiatici. Ero abituato a incontrare gli emigranti filippini sulle navi, dopo essermi mescolato a loro nel Paese di origine. Ma qui sono in Algeria e loro sono dispersi in diversi luoghi di lavoro, impegnati nella costruzione di grandi infrastrutture: autostrade, reti tramviarie, ponti, oltre all’ammodernamento dell’impianto per il gas di Skikda, sulla costa a una sessantina di chilometri da qui.
Di notte stanno “parcheggiati” in cantieri, mentre il giorno escono, sotto scorta, e hanno poche possibilità di muoversi liberamente. Lavorano sul posto per sei mesi, con diritto di tornare quindici giorni a casa, oppure per un anno con tre settimane di vacanza. Nei cantieri-dormitorio hanno internet e le webcam, e si rilassano tra loro la sera, spesso lontani dai negozi affollati del centro città. Qui intorno non ci sono supermercati, d’altro canto nemmeno in centro c’è la possibilità di trovare un bar dove bere una birra.
Il boom di questi luoghi internazionali di lavoro è iniziato negli anni Duemila. Migliaia di lavoratori provenienti da Cina, Filippine, Vietnam e India sono arrivati per costruire le principali grandi infrastrutture dell’Algeria. Giungono sui luoghi di lavoro trasportati in squadre. Come visitatori siamo solo autorizzati a chiamarli perché ci raggiungano ai cancelli. Così, nelle settimane trascorse tra Costantina, Skikda e Annaba, ho incontrato questa gente, grazie all’amicizia con i preti locali, anch’essi stranieri, che hanno contatti con gli operai alle celebrazioni liturgiche di Natale o Pasqua, e a un sacerdote che con pazienza fa richiesta di poter incontrare e celebrare la messa dentro i cantieri, il venerdì o il sabato sera. Di fronte a sé ha comunità cristiane “in movimento”. Il futuro di queste comunità dipende dalla disponibilità di qualcuno che apra le porte, o almeno le tenga aperte, e che voglia condividere queste opportunità con i compagni di lavoro. Persone come Paul, che viene dalla Corea, e che con discrezione li invita alle celebrazioni. Facendo affidamento su queste persone che tengono le porte aperte e usando il sistema arabo del passaparola, si può lavorare per il bene di questi emigranti. Gli operai tornano ai posti di lavoro avendo ricevuto qualche seme pronto a crescere nei luoghi in cui si trovano.

Roland Doriol S.I.

© FCSF – Popoli