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India: padre Zucol e 65 anni di missione tra i più poveri
10 gennaio 2014
Il 6 gennaio è scomparso Lino Zucol, gesuita trentino in India dal 1948 e ultimo missionario italiano attivo nello Stato del Kerala. Il 21 dicembre aveva avuto un malore ed è stato ricoverato nell’ospedale di Khozikode, riprendendo conoscenza solo due giorni prima di morire, quando ha chiesto di celebrare la messa un’ultima volta insieme ai confratelli. 65 anni di impegno missionario senza sosta tra le popolazioni delle caste più basse ne avevano fatto un personaggio molto conosciuto e amato lungo la costa del Malabar, la stessa regione dove Francesco Saverio, a metà del Cinquecento, fondò le prime missioni dei gesuiti.

Padre Zucol era originario della Val di Non, dove era nato nel 1916. Era uno dei più anziani gesuiti italiani attivi all’estero, che con la sua scomparsa scendono a 68. Nonostante l’età aveva abbandonato il suo lavoro. Diventato cittadino indiano nel 1980, non si era mai stancato di mantenere contatti con l’Italia e l’Europa, raccogliendo fondi per la missione.

Ordinato sacerdote nel 1940, tre anni dopo era entrato nei gesuiti che, 65 anni fa, l’avevano inviato in India. La sua vita di missionario si è interamente svolta nel Kerala, dove imparò la lingua malayalam e si dedicò all’evangelizzazione e al servizio ai poveri del suo distretto. È lunga la lista delle realizzazioni materiali: dalla costruzione di scuole, chiese, pozzi d’acqua, alla creazione di piantagioni di caucciù, mango e caffè. Ma è ricordato soprattutto per l’edilizia in favore dei più poveri, cristiani e hindu: a lui si devono circa 7.000 abitazioni per i senzatetto vittime dei monsoni.

Insieme a una suora e tedesca, Petra Moanigmann, nel 1968 fondò l’ordine Deena Sevana Sabha (Dss, o Serve dei poveri, che oggi conta seicento suore). Dagli anni Settanta era parroco nella chiesa di Mariapuram, a Pariyaram, dove ha continuato fino agli ultimi giorni a lavorare con entusiasmo.

Di recente Sarnonico, il suo paese natale in provincia di Trento, gli aveva conferito la cittadinanza onoraria e una mostra del fotografo Giorgio Salomon, «I bambini di cristallo», rendeva omaggio alla sua vita di servizio. Joseph Kottukappilly, gesuita indiano che ha lavorato con padre Zucol, osserva come la Chiesa locale gli debba molto. «Ha avvicinato migliaia di persone al cattolicesimo - racconta -, con la capacità di non inimicarsi i gruppi conservatori induisti, che spesso accusano i missionari di usare le opere di assistenza come maschera per convertire gli hindu di casta bassa».  E Jose Thankappan, convertitosi dall’induismo e collaboratore di padre Lino nella costruzione di case, sottolinea come aiutasse chiunque si rivolgesse a lui. «Aiutava donne povere a diventare autosufficienti fornendo loro macchine per cucire».

Padre Zucol stesso ricordava le condizioni di povertà della gente a metà Novecento: «Il Malabar non aveva strade, scuole né chiese - osservava in una recente intervista -. La gente viveva in capanne vicino alle mucche e alle capre. Ho iniziato ad aiutarli a vivere in condizioni migliori. In seguito alcuni hanno espresso il desiderio di diventare cristiani e li ho accolti con gioia nella Chiesa». Un leader musulmano locale racconta di essere stato colpito dalla sua semplicità di vita: Zucol predicava con le azioni più che con le parole.
© FCSF – Popoli