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È morto Pierre Ceyrac, "pellegrino delle frontiere"
31 maggio 2012

A 98 anni si è spento il 30 maggio a Madras il gesuita di origini francesi, uno dei missionari più noti. Pierre Ceyrac ha dedicato l'intera vita a una scelta radicale per gli ultimi, tra i dalit in India e i rifugiati nel Sudest asiatico. Ne riproponiamo un profilo pubblicato alcuni anni fa su Popoli.

Nel 1993, al ritorno in India dopo un’esperienza di tredici anni nei campi thailandesi accanto a migliaia di rifugiati cambogiani, Pierre Ceyrac ha già quasi ottant’anni (è nato nel 1914), ma la sua missione non è conclusa. Come racconta nel libro Pellegrino delle frontiere tenta di ridare un indirizzo al suo percorso, in un’India dove ha trascorso quasi tutta la vita, ma che ha subito cambiamenti profondi. «Credo che la sola cosa che sappia ancora fare - confida al suo superiore - è amare». Un amore che ha accompagnato settant’anni di missione. Giunto per la prima volta nel 1937 nell’India coloniale, il giovane gesuita francese inizia a fare sua una cultura nuova. Questa «immersione totale» serve ad assumere i valori e le miserie dell’India per «rinascere ».
Nell’incontro con il mondo indiano Ceyrac ha maestri antichi come Roberto de Nobili, il gesuita che conversava in sanscrito con i bramini di Madurai, o modelli contemporanei come Jules Monchanin, maestro nel dialogo con l’hinduismo. Ceyrac studia i testi sacri hindu, il sanscrito e una lingua complessa come il tamil. Vive in prima persona l’inculturazione, quando questa parola non si è fatta ancora strada.
Intellettuale e realizzatore, mette in pratica nell’India indipendente tanti buoni propositi scaturiti dal processo di liberazione e dagli insegnamenti di Gandhi. È protagonista di primo piano del mondo cristiano come responsabile dell’Aicuf, la federazione degli universitari cattolici di tutto il Paese. Inizia a viaggiare, a stimolare credenti e non credenti, dando sempre priorità agli ultimi della società.
Sorprende la quantità di realizzazioni: la rete studentesca, che arriva a raccogliere centomila membri, i progetti agricoli per sfamare decine di migliaia di contadini poveri. L’attenzione di Ceyrac non ha limiti: «Bisogna entrare in una bidonville come si entra in un monastero, perché Dio è là», scrive. Il suo amore per l’India lo porta a reagire sempre contro le discriminazioni di casta. Per i dalit sostiene la creazione della Daca, una scuola che offre formazione professionale a chi viene inchiodato a uno status sociale inferiore. Ancora negli anni Novanta è impegnato nel realizzare un centro per poliomelitici, unico nel sud dell’India, nonché il movimento Ambukarangal (Mani aperte), che consente a oltre 30mila bambini e ragazzi di strada e lavoratori di studiare. A tutti riesce a trasmettere gioia, come ripetono quelli che lo incontrano. Un itinerario di vita così ricco non passa inosservato, la sua figura è sempre più ammirata. Ma l’anziano missionario che nel 2003 a Parigi riceve dal presidente francese il premio dell’Accademia universale delle culture non ha un disegno politico o un progetto imprenditoriale. «Salvare l’uomo, chiunque sia, perché ognuno ha in sé il volto del Signore », come ripete spesso, è il compito.

Francesco Pistocchini

© FCSF – Popoli
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