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Inga, dighe formato export
31 luglio 2013
La Commissione mondiale dighe è stata categorica: i progetti idroelettrici realizzati negli anni Cinquanta e Sessanta in Africa non solo sono costati più del previsto e hanno prodotto meno energia di quanto preventivato, ma i benefici sono andati più alle grandi imprese private che alla popolazione.

La dura denuncia, lanciata la scorsa settimana dall’organizzazione che dal 1997 monitora l’impatto sociale ed economico delle grandi opere idrauliche, giunge in un momento delicato in cui si inizia a riparlare di sbarramenti in grado di produrre quantitativi consistenti di energia elettrica. «Negli ultimi anni - spiega Elena Gerebizza, ricercatrice della Campagna per la riforma della Banca mondiale - la Banca mondiale ha utilizzato molta cautela nel finanziare progetti idroelettrici faraonici perché stava ripensando le sue strategie energetiche globali. Quest’anno, dopo decine di incontri con responsabili governativi e di forum, questa fase si è conclusa. La Banca mondiale ha riconosciuto che l’impatto del carbone è negativo sia sull’ambiente sia sui cambiamenti climatici e quindi non è più opportuno investire in questo settore. Ha quindi concentrato nuovamente la sua attenzione sul sistema idroelettrico».

In Africa i progetti sul tavolo sono molti. A partire dal complesso di Gilgel Gibe, i tre sbarramenti nella Valle dell’Omo in Etiopia, per proseguire con la Diga del grande rinascimento sul Nilo Azzurro, sempre in Etiopia, e il complesso idroelettrico Inga nella Repubblica Democratica del Congo. Ed è quest’ultimo a destare le maggiori perplessità di economisti e ambientalisti.

Nato negli anni Cinquanta
sotto l’amministrazione coloniale belga, il progetto Inga è stato, in parte, realizzato negli anni Settanta e Ottanta. Le due centrali Inga I e Inga II, rispettivamente di 350 e 1.400 Mg di potenza, nelle intenzioni dei progettisti avrebbero dovuto sfruttare il potenziale energetico delle rapide del fiume Congo per fornire energia a tutto il Paese. «La realtà dei fatti - continua Gerebizza - è che oggi il 95% dei congolesi non ha accesso all’energia elettrica. L’85% della corrente generata dal complesso Inga è utilizzata dall’industria privata (in particolare modo quella estrattiva). La restante parte viene impiegata per la capitale Kinshasa».

Il governo congolese sta studiando di potenziare il sistema delle due dighe Inga costruendone altre due: Inga III (4.0000 MW) e Grande Inga (39mila MW). I progetti di questi due sbarramenti sono stati elaborati a più fasi e rivisti in periodi diversi. Ciò che si sa è che, al termine dei lavori (che dovrebbero partire nel 2015), si dovrebbe ottenere una potenza pari a quella di alcune centrali nucleari. L’opera idraulica non dovrebbe però creare un bacino molto grande perché sfrutta già la notevole portata del fiume Congo. Ciò potrebbe ridurne l’impatto sociale con un ridotto spostamento della popolazione. Rimangono però due interrogativi: dove reperire i fondi (si parla di 12 miliardi per Inga III e di 80 miliardi di euro per Grande Inga)? E chi usufruirà della corrente prodotta?

«La struttura finanziaria di questi progetti sarà diversa rispetto al passato - continua Elena Gerebizza -. Difficilmente questi progetti saranno finanziati con i fondi di grandi istituzioni finanziarie internazionali (Banca mondiale, Banca africana per lo sviluppo, ecc.). Oggi si parla di collaborazione tra il settore pubblico e quello privato. Una collaborazione nella quale le istituzioni finanziarie pubbliche offrono una copertura di garanzia all’investimento privato oppure si fanno garanti di nuovi strumenti finanziari che servono a raccogliere capitali sui mercati di capitali (rendendo quindi queste strutture appetibili ai fondi pensione o ai fondi di investimento). Questo denaro però non verrà regalato al Congo, ma il governo di Kinshasa dovrà restituirlo. E, nonostante parte del debito estero congolese sia stato condonato, le finanze di Kinshasa non sono certo in buone condizioni (il debito estero ammonta a pià di sei miliardi di dollari)».

Per quanto riguarda l’utilizzo dell’energia, il Congo non ha mai fatto mistero di voler esportare gran parte della produzione. I primi acquirenti sarebbero il Sudafrica e lo Zambia che impiegherebbero l’energia nelle loro attività estrattive. Esiste poi il progetto di un elettrodotto che dovrebbe raggiungere l’Egitto e da lì l’Europa. «Le ricadute sulla popolazione congolese dovrebbero essere minime - conclude Gerebizza -. Le autorità congolesi non hanno mai fatto nulla per portare la corrente elettrica alle comunità rurali. E sembra non abbiano intenzione di fare nulla in futuro. Le stesse istituzioni finanziarie internazionali hanno insistito affinché ci fossero benefici per la popolazione. Ma probabilmente Kinshasa ha altre priorità».
Enrico Casale
© FCSF – Popoli