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Iran-Thailandia: storia di una doppia persecuzione
30 ottobre 2012
Atash (il nome è di fantasia) ha 45 anni, è iraniano e ha trascorso otto mesi in un centro di detenzione per immigrati irregolari a Bangkok. Anche la Thailandia ha i suoi Cie. La storia di Atash è raccontata dal Jrs (www.jrs.net), l’organizzazione internazionale dei gesuiti a servizio di rifugiati che a Bangkok offre assistenza legale ai richiedenti asilo. Già negli anni Novanta Atash dall’Iran era riparato all’estero, a Dubai, perché rischiava la vita dopo avere denunciato un caso di corruzione che coinvolgeva un potente politico. Ma a complicare la sua situazione è il fatto che nel 2009 si è convertito al cristianesimo e in Iran i convertiti vengono imprigionati e minacciati di morte. In Iran sono quotidiane le intimidazioni e gli attacchi agli oppositori non musulmani. L’apostasia o la rinuncia all’islam possono essere puniti con la pena di morte secondo l’applicazione della sharia. Spesso i convertiti al cristianesimo sono presi di mira con l’accusa di attentare alla sicurezza dello Stato, fare propaganda e insultare la religione di Stato. I cristiani dell’Iran, secondo quanto riporta Human Rights Watch, parlano di 250 arresti nella piccola minoranza tra giugno 2010 e febbraio 2011.
La crescente repressione dei diritti politici e religiosi da parte del regime spinge migliaia di persone a cercare sicurezza e libertà di coscienza all’estero. Nel 2012, secondo l’Onu, sono stati quasi 90mila gli iraniani che hanno chiesto asilo in altri Paesi.
Atash ha ricevuto assistenza dal Jrs. «Pensavo di dovere rimanere detenuto per sempre o tornare in Iran e rischiare la vita», racconta agli operatori dell’organizzazione che lo hanno aiutato nelle pratiche per ottenere asilo in Thailandia. Ma la procedura non è semplice: come riferisce un’associazione umanitaria con sede negli Usa, Iranian Refugees Alliance, meno della metà delle domande di asilo avanzate da iraniani viene accolta e in Thailandia la percentuale è ancora più bassa. Di conseguenza, in molti casi coloro che negli ultimi anni sono stati costretti a rientrare nel Paese sono stati torturati, condannati a morte o hanno subito vari maltrattamenti.
Anche durante la detenzione Atash per paura non ha rivelato la sua vera fede davanti agli altri iraniani rinchiusi insieme a lui nel centro per immigrati, pregando di nascosto. Oggi la sua domanda di asilo è stata accolta e Atash può attendere con fiducia di conoscere dove potrà andare a vivere e progettare il suo futuro in Thailandia.
© FCSF – Popoli