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La difficile indipendenza del Sud Sudan
28 aprile 2011
«La strada del Sudan del Sud è tutta in salita. Il nuovo Stato, la cui separazione dal Nord è stata sancita dal referendum del 9 gennaio ma che sarà proclamato indipendente solo il 9 luglio, si troverà ad affrontare numerose questioni che potrebbero minare il suo futuro». A parlare (chiedendo l’anonimato) è un gesuita che da anni vive nel Paese e ne studia i problemi.
Il primo problema che la classe politica di Juba (la capitale del nuovo Stato) si trova ad affrontare è la Costituzione. Una commissione sta discutendo la prima bozza della Carta fondamentale, che però non convince molti osservatori internazionali. «Formalmente - osserva il gesuita - questa bozza disegna uno Stato democratico. In realtà, in molti (anche tra i cattolici) intravvedono il rischio che questa non tuteli le minoranze e apra la strada, di fatto se non di diritto, a un'egemonia dell’etnia maggioritaria dinka sulle altre, in particolare, su nuer e shiluk. Ciò intaccherebbe la convivenza e porrebbe le basi per un futuro conflitto civile. La soluzione potrebbe essere la costruzione di un assetto istituzionale federalista. Se ne sta discutendo». Intanto in questi giorni si sono registrati scontri tra esercito del Sud e milizie locali che hanno causato numerose vittime. Un segnale non certo incoraggiante.

L’altro grande problema che il Sud si troverà ad affrontare è quello delle frontiere con il Nord. Una commissione mista sta lavorando alla definizione dei confini, ma rimangono aperte molte questioni. «La principale - continua il gesuita - è quello dello statuto di Abyei, la regione a cavallo tra i due Paesi. Negli accordi che hanno portato all’indipendenza del Sud si rimandava a un referendum una decisione su Abyei. Ma questo referendum non è mai stato indetto. Contemporaneamente sono iniziati duri scontri tra i misseriya, etnia nomade di fede musulmana, e i dinka, agricoltori cristiani e animisti. Molti osservatori e molti media internazionali hanno collegato questi scontri alla volontà delle due etnie (la prima sostenuta dal Nord e la seconda dal Sud) di controllare i pozzi petroliferi. In realtà le riserve petrolifere della regione si stanno esaurendo velocemente. A mio parere la lotta non è tanto per il controllo dei pozzi, quanto per il controllo di una regione strategica dal punto di vista militare e commerciale, perché da lì passano le più importanti vie di comunicazione tra i due Paesi».

In questo contesto, saranno importanti anche le elezioni che il 2 maggio si terranno nella vicina regione del Sud Kordofan, controllata dal Sudan del Nord, in cui però vive una consistente comunità cristiana. «Nel Sud Kordofan - osserva il gesuita - si potrebbero accendere nuove tensioni. Le popolazioni musulmane sono sostenute dal Nord, quelle cristiane dal Sud. La vittoria dei partiti cristiani potrebbe scatenare una dura reazione, anche militare, dei musulmani e accendere una nuova guerra tra Nord e Sud».

Infine la questione dell’acqua. Il Sud del Sudan è attraversato dal Nilo Bianco che poi insieme al Nilo Blu formano il Nilo. La gestione delle acque del Nilo è regolata da due accordi internazionali uno siglato nel 1929 e l’altro nel 1959. Entrambi questi accordi garantiscono all’Egitto almeno l’80% della portata del fiume. Il Sud del Sudan riconoscerà questi accordi? E se non li riconoscerà scoppierà un conflitto con il Nord del Sudan e con l’Egitto? «La questione dell’acqua è delicata - conclude il gesuita -. Solo la rinegoziazione delle intese internazionali potrebbe portare a una migliore redistribuzione delle risorse idriche. L’Egitto si oppone. Ma l’alternativa qual è? La guerra? L’Egitto è interessato a entrare in guerra con il Sud del Sudan e con l’Etiopia, il suo alleato principale, anch'esso coinvolto nel problema? Io credo di no. Penso e spero che si tornerà al tavolo delle trattative».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli