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La famiglia del signor Hu
2 maggio 2012

A metà aprile alcuni giornali hanno riportato la notizia secondo cui, a Milano, i residenti cinesi di nome Hu avrebbero superato coloro che portano il cognome meneghino per antonomasia, Brambilla. Demografi e sociologi hanno poi precisato che il sorpasso era in realtà già avvenuto all’inizio degli anni Duemila, ma che la tendenza è certamente quella di una progressiva scalata dei cognomi stranieri nella graduatoria milanese (e non solo): così, tra i 10 cognomi più diffusi in città, accanto ai Rossi, ai Ferrari e ai Negri, ecco i Chen e gli Zhou. Ed è probabile che fra non molto compariranno anche i Sánchez, gli Hussein e i Singh.
Il punto è che le persone sono spesso meno straniere dei cognomi che portano, essendo sempre più inserite nel tessuto socio-economico e culturale italiano. E questo avviene soprattutto grazie ai ricongiungimenti familiari e al ruolo della famiglia come spontaneo e potente strumento di integrazione, sicurezza e coesione sociale. Un immigrato che vive nel nostro Paese insieme alla propria famiglia è più integrato, meno soggetto a problemi psico-sociali e meno propenso alla devianza rispetto a uno che vi risiede da solo: lo dimostrano montagne di ricerche sociali, come quella che ci presenta Maurizio Ambrosini nella sua rubrica in questo numero.
Non a caso, e specularmente, tra i problemi più gravi di molti Paesi di emigrazione, dall’Europa dell’Est all’Ame-rica latina, c’è la disgregazione dei nuclei familiari, in cui i padri e, sempre più frequentemente, le madri sono a migliaia di chilometri dai figli: questi crescono affidati ai nonni o in solitudine, spesso travolti da storie di violenza urbana o tossicodipendenza.
E non è neppure un caso che i movimenti politici interessati a sfruttare elettoralmente la «paura dello straniero» scelgano proprio l’istituto del ricongiungimento familiare (e il principio dello ius soli per la cittadinanza) come bersaglio di provvedimenti restrittivi e miopi. È successo con la Bossi-Fini, che - non dimentichiamolo - rimane la legge organica sull’immigrazione in vigore in Italia (in attesa che il governo Monti batta un colpo), e succede con le varie ordinanze comunali di questi anni.
Nella città del signor Hu, dal 30 maggio al 3 giugno, si parlerà molto di famiglia e si pregherà molto per la famiglia, in occasione del VII Incontro mondiale promosso dalla Chiesa cattolica: un evento impreziosito dalla visita di Benedetto XVI e ricco di significati. Tra questi crediamo possa e debba entrare anche una riflessione che vada al di là di una ristretta ottica locale o nazionale, ormai anacronistica, per abbracciare le dimensioni che riguardano le cosiddette «famiglie migranti». Una sfida con connotazioni anzitutto sociali e politiche, ma dal sapore anche ecclesiale: in questo senso sarebbe bello, per fare un solo esempio, che ci si interrogasse su qual è la reale capacità di accogliere e coinvolgere le famiglie straniere nelle nostre parrocchie.
Perché davvero, come ci ricorda il papa, siamo tutti parte di una stessa «umanità, famiglia di famiglie».

Stefano Femminis

© FCSF – Popoli